RIFLESSIONI / GIUGNO 2007
A tavola con Gesù
Mangiare assieme è meglio!
In un brano suggestivo dell'Apocalisse si leggono queste parole di Gesù: "Ecco, io sto alla porta e picchio; se uno ode la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me" (3,20). Le parole sono contenute nella lettera ai cristiani di Laodicea, troppo sicuri di essere nel giusto, ma caratterizzati da una fede tiepida, ai quali Gesù consiglia la conversione.
Ma da dove origina l'idea di prendere cibo assieme? Quest'uso è antichissimo e presente in tutte le culture. Al viandante che si avvicini ad una carovana di beduini nei deserti del medio oriente, viene offerto pane per sfamarsi, acqua per dissetarsi e un pizzico di sale in segno di amicizia. L'offerta del cibo a membri di altri gruppi era in uso presso gli indiani della costa nord occidentale del Pacifico (v. "potlach" in Dizion. di Antropologia, Fabietti-Remotti). Ancor oggi nella cultura del Mediterraneo è diffuso l'uso di invitarsi a mangiare assieme. L'ospitalidà meravigliosa degli italiani del sud desta meraviglia in chiunque ne abbia fatta l'esperienza. Le attività moderne sono caratterizzate da cene o colazioni di lavoro.
Nel Vangelo questa pratica così diffusa assume valenze del tutto particolari. Non è un caso che Luca racconti così la vita dei primi discepoli: "Tutti i giorni rompevano il pane nelle case e prendevano il cibo assieme, con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e avendo la simpatia del popolo" (Atti 2,46). Si notino le parole: assieme, letizia, semplicità di cuore, lode rivolta a Dio, simpatia del popolo. I primi cristiani avevano in comune un sentimento profondo originato da fiducia reciproca e fede fiduciosa in Gesù: "I molti che avevano creduto erano di un solo cuore e di un'anima sola" (Atti 4,32). In questo modo si superavano più facilmente le necessità di ciascuno e le barriere sociali: "Né c'era alcun bisognoso fra di loro" (Atti 4,34). Poteva addirittura capitare che lo schiavo si trovasse a tavola col padrone! (v. Lettera a Filemone).
La tavola era pure il luogo di domande e risposte spesso importanti. Gesù, invitato in casa di Matteo, si trova a tavola con i riscuotitori delle tasse per conto degli odiati Romani (Matteo 9,10). Quando alcuni ipocriti criticano Gesù per questo fatto, egli risponde con parole di misericordia. La misericordia non è un vago sentimento, ma è letteralmente lo spaccamento delle viscere di Dio che accoglie peccatori invitandoli al ravvedimento.
La tavola è il luogo dove ci si osserva, si nota l'agire sociale degli uni e degli altri. Gesù racconta la parabola del matrimonio e di come il re noti un tale senza abito da nozze: "Amico, come sei entrato qua senza avere l'abito di nozze?" (Matteo 22,12). È vero! A tavola si nota come ci si veste, ma anche come si parla, di che cosa si parla, come si interagisce con gli altri: c'è il tizio che parla troppo, c'è il superficiale, l'altro invece mostra un interesse sincero per chi ha davanti, c'è chi è affettuoso e chi gentile, c'è chi ragiona con saggezza e chi apre la bocca per dire sciocchezze... A tavola viene fuori la varia umanità! Ma a tavola si può anche imparare a interagire gli uni gli altri in un modo altrimenti impossibile da apprendere. In altre parole: si conosce di che stoffa è fatto il nostro vestito.
Privacy disumana
I momenti trascorsi a tavola possono essere attimi di generosità immensa. Ricordiamo la peccatrice che, piangendo ai piedi di Gesù, gli rigava i piedi con le lacrime e glieli asciugava? (Luca 7,36). Ma la tavola talvolta è pure luogo di immensa ristrettezza mentale: l'ospite di Gesù, nel vedere quel gesto della donna, dubita che Gesù sia un profeta, perché se lo fosse saprebbe che genere di donna è quella che gli si è messa vicino (Luca 7,39). Così ragionando, l'ospite dimostra tutta la propria grettezza.
La tavola è anche luogo di straordinari ragionamenti: Gesù perdona la donna perché ha dimostrato un tale affetto verso di lui. Uno dei primi atti di perdono viene fatto perciò "a tavola" (7,50b), a disdoro di tutti i confessionali, ma anche di ogni genere di religiosità formalistica e stereotipata.
Il "pulpito" di Gesù è la normalità e l'umanità di una tavola! Gesù non ha bisogno di una religiosità fissa, di una liturgia ingessata, incartapecorita, tradizionale e tradizionalistica (=corruzione della tradizione). Quanto è bella, anzi sublime, questa normalità di Gesù, che sa trasformare cose comuni (stare a tavola, appunto) in frammenti di straordinaria umanità, cioè di religiosità genuina.
E se la chiesa di cui si legge in Apocalisse 3,20 fossimo proprio noi, cioè questi cristiani così pesantemente influenzati dalla società della privacy?
Un tempo, quando forse c'era meno da mangiare, la gente stava di più assieme, ci si ritrovava più spesso intorno alla tavola. Quanti conflitti e quante tensioni si risolvevano, o almeno si appianavano proprio a tavola!
Oggi comanda una società privatistica, conta in senso assoluto la privacy. Siamo diventati tutti privati. E privati significa chiusi nel nostro privato. Chiusi come ricci, ce ne restiamo arricciati dentro. È così che tensioni e problemi esplodono poi incontrollati: aggressioni, omicidi, violenze...
Si dimentica che privato significa che qualcosa è stato tolto, qualcosa è andato perduto, non c'è. Qualcosa è venuto a mancare, qualcuno ne è stato privato, o ne è privo. Non ci rendiamo neppure conto di tutto il bene che è andato perduto in termini di umanità, aiuto vicendevole, interesse e affetto e amicizia e gentilezza... nei rapporti umani. Ce ne rendiamo conto, però, se valutiamo come e quanto la società (fatta di cristiani e non) sia diventata dis/umana.
Quelle riunioni della chiesa che talvolta somigliano a liturgie vuote, quegli incontri sacri che sono tali perché ripetitivi, ripetuti, reiterati con precisione monotona, quasi fossero atti superstiziosi. Dov'è in tutto ciò l'umanità? Dov'è la religiosità genuina? E soprattutto: dov'è il Gesù-che-rompe-gli-schemi insegnando, perdonando, ma anche godendo del cibo, mentre è a tavola?
Questi cristiani privatistici, che mai hanno tempo per essere insieme con fratelli e sorelle, ma che sperano di passarci insieme addirittura l'eternità... (?!), di chi sono mai discepoli? Quale maestro stanno seguendo? Quali modelli stanno imitando? Se non è eterno il nostro modo di vivere qui e ora, difficilmente riusciremo a non annoiarci durante l'eternità...
Nelle parole che Gesù rivolge ai cristiani d'ogni tempo c'è anche scritto "Così, siccome sei tiepido, io ti vomiterò dalla mia bocca". Anche questo è tremendamente vero e reale, perché a tavola si può davvero arrivare a vomitare e a comportarsi in modo vomitevole (Apoc. 3,16) oppure si può gustare la migliore cena del mondo in compagnia di Gesù e dei suoi amici (Apoc. 3,20b).
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