Riflessioni

La chiesa che appartiene al Cristo è la chiesa che imita il Padre

1. La chiesa che appartiene al Cristo è formata da persone che imitano Dio, spinti a ciò dal fatto d’essere consapevoli del grande amore che il Padre ha per loro e verso tutti: essi sono figli «diletti» (=amatissimi) di Dio. Già soltanto per questo motivo essi sono spinti a imitare il Padre (Efesini 5,1). Il contesto della frase evidenzia che si tratta pur sempre di una imitazione inadeguata, imperfetta, bisognosa dell’aiuto di Dio, il quale desidera portare le sue creature fuori dallo stato di ignoranza e di indurimento, restituendo loro tutta la loro intelligenza liberata dal buio del peccato (4,18). 2. Il brano di Efesini 4,20-24 richiama l’immagine dell’uomo (=uomo e donna) somigliante a Dio. Quella prima immagine (Genesi) si è però sbiadita a causa del peccato e la persona, indebolita dal male, è divenuta quasi incapace di imitare il Padre. Ecco perché in Cristo si attua una creazione nuova che dota la persona di una «immagine» nuova, realizzata «nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità». In Cristo e tramite Cristo la persona umana è messa di nuovo in grado di imitare Padre nella verità. L’«immagine» di Dio viene restaurata, la nuova creazione in Cristo ripristina la somiglianza: dal «vecchio uomo» si passa alla persona che impara Cristo (v.20), che continuamente viene «rinnovata nello spirito della propria mente» (v.23) proprio perché, col suo aiuto affettuoso, impara a imitare Dio. Consideriamo pochi aspetti di questa imitazione. 3. L’onestà (Efesini 4,28). Il figlio di Dio non solo non ruba, ma si affatica a lavorare onestamente con le proprie mani; per lui/lei non vi è lavoro troppo umile, purché sia onesto e fatto lealmente. Ecco perché lui/lei lavora non tanto per l’occhio del padrone, ma come servendo il Signore (Efesini 6,6). Eppure questa onestà e lealtà non sono tanto una virtù personale di cui vantarsi, quanto piuttosto uno strumento per aiutare altri, «per far parte a colui che ha bisogno». Tutto ciò che il credente ha, ogni sua ricchezza, ha per scopo quello di «potere esercitare una larga generosità» (2 Corinzi 9,11). Dunque: onestà non come virtù da tenere per sé, come vanto eprsonale, bensì un mezzo per gli altri, in una vita vissuta a pro degli altri, imitando Gesù in questo. Egli infatti, meglio di chiunque altro, ci propone l’esempio di Dio (Giovanni 12,49-50). 4. Il parlare (Efesini 4,29). Si tratta, come è noto, di un antico problema. Nel mare delle parole di grazia, incoraggiamento, forza, bontà, dolcezza, consiglio, confluisce ad un certo punto il fiume inquinato della malevolenza: maldicenza, sospetto, calunnia,  ingratitudine, disamore. Chi semina contese in un ambiente prima tranquillo e laborioso è definito persona «perversa»; è colui/colei che con la propria maldicenza «disunisce gli amici migliori» (Proverbi 16,28). Ma come può il maldicente riuscire nella sua azione? Risponde la sapienza biblica: perché esiste «il malvagio che dà ascolto alle labbra bugiarde, e il bugiardo che dà retta alla cattiva lingua» (17,4). Indubbiamente le parole del maldicente «sono come ghiottonerie, e penetrano fino nell’intimo delle viscere» (18,8), provocando danni al corpo, sia che si tratti del corpo della famiglia, o della società, o anche di quella particolare società che è la chiesa. Un simile fiume inquinante di parole e di espressioni «contrista» lo Spirito che ha suggellato il credente (Efesini 4,30 + 1,13), perché l’azione dello Spirito è gioiosa e unificante, mentre le parole del maldicente rattristano e disuniscono. La persona «leale», invece, non va sparlando (11,13). Pertanto il Vangelo consiglia di controllare bene la nostra bocca (e le nostre orecchie!): «nessuna mala parola esca dalla vostra bocca». Ecco dunque la vera imitazione di Dio: abituarsi a dire (e ad ascoltare) parole buone che edifichino, secondo il bisogno. Talvolta le circostanze per parlare del Vangelo sono rare, occorre saperne approfittare (Efesini 5,16). La parola può essere parola di preghiera e di testimonianza personale, attuata con saggezza verso coloro che non sono ancora credenti; si prega per l’apertura della porta del loro cuore; si prega per poter parlare loro con grazia e col sale della saggezza (Colossesi 4,2-6). Questo parlare allieta lo Spirito di Dio e il nostro, perché soltanto così essi sono in armonia. La risposta più bella che possiamo dare all'amore di Dio è diventare suoi imitatori. Ma per amore, solo per amore. chiesa di Cristo Gesù Via Fratelli Bandiera, 2-4 00040 Pomezia, Roma (RM) info@chiesadicristopomezia.it Tel.: 339 577 3986

Torna alle riflessioni