COERENZA
Tra il dire e il fare, il…male
Il più alto livello possibile di cultura morale è raggiunto quando riconosciamo che dovremmo controllare i nostri pensieri
(C. Darwin, L’origine dell’uomo).
Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio. Si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio
(F. De Andrè, Bocca di Rosa)
Il titolo, parafrasando il noto motto, vuol mettere in evidenza non solo la distanza o la difficoltà nel tradurre in pratica le intenzioni, ma soprattutto la natura del pensiero che separa il dire, cioè il proposito ostentato con le parole, dal fare, la probabilistica, incerta attuazione del dire. Vorremmo far emergere che spesso l’uomo “volendo fare l’angelo, fa il diavolo” (Pascal, Frammenti). Ricorda vagamente la strategia percorsa dalla gran parte nostri politici (di basso profilo culturale da oltre un trentennio), per i quali l’annuncio di un intervento richiede un plauso per un fatto non ancora attuato. Succede a volte di sentir dire: “Se vincessi alla lotteria, darei una buona parte ai poveri…”, pensando in modalità virtuale, cioè tra il dire e il non-fare, visto che il denaro da devolvere non lo possediamo concretamente. Oppure, parlando di chi ha vinto una somma di denaro, si dice: “Al posto suo io donerei una cifra ai bisognosi”. Anche in questo caso, non si dispone di nulla, rimanendo il tutto nell’ambito della volontà astratta.
Un contemporaneo di Gesù, Zaccheo, esattore delle tasse per conto della Roma imperiale, “mal considerato” dai suoi connazionali, fu in grado di avere due buoni pensieri. Il primo fu di sforzarsi di vedere Gesù. Era cosa oggettivamente difficile, per l’ambiente che odiava Zaccheo e perché la folla gli ostruiva la spazio per vedere il Signore, essendo Zaccheo basso di statura (Lc 19,1-10). Zaccheo, senza dire, pensò bene e agì meglio: si arrampicò su un albero per elevarsi sulla folla e vedere Gesù. Poi, nell’incontro inaspettato con Gesù, decise spontaneamente di restituire ai poveri quattro volte quanto guadagnato dalla sua “attività”, ravvedendosi ed elevandosi spiritualmente. Pensò bene. Disse bene. Fece coerentemente bene.
Quando però si parla genericamente di pensiero, si allude alla sua natura filosofica, oppure a una semplice idea; spesso lo si fa coincidere con la preoccupazione, altre volte lo si intende come sinonimo di “visione” della vita o di uno specifico argomento; o anche come sinonimo di ragionamento; oppure come valutazione, come giudizio su qualcuno o qualcosa. Se invece lo si intendesse dal punto di vista scritturale, il pensiero esprimerebbe lo spirito, il corpo dottrinale, il nucleo essenziale di un insegnamento, l’enunciazione dei principi che lo contraddistinguono.
Ad esempio, in una delle ultime conversazioni coi discepoli, sperando che essi avessero compreso, Gesù rivelò loro una verità che, in base a ciò che gli avevano sentito dire e visto fare, avrebbero dovuto già comprendere, cioè che vedere lui era vedere il Padre, la sua immagine, la sua distinta impronta sovrumana, il suo pensiero.
«Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete, e l’avete visto». Filippo gli disse: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gesù gli disse: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: Mostraci il Padre? Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse. In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch’egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre; e quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò (Gv 14,7-14).
Evidentemente Filippo e gli altri avrebbero voluto vedere Dio con i loro occhi, cioè in modo sensoriale. La parola di Gesù “chi ha visto me ha visto il Padre” voleva stimolare il pensiero nei suoi discepoli, i quali avrebbero dovuto “facilmente” evincere che Dio s’era manifestato in Gesù (Fil 2,1 ss.), nei suoi comportamenti virtuosi tenuti in ogni circostanza, per le guarigioni e i segni compiuti, per l’eccezionale contenuto spirituale dei pubblici sermoni, per l’unicità delle parabole, per la profondità della sapienza e conoscenza della realtà divina, per la potenza di un carisma unico e irripetibile.
Il cieco nato, guarito dal Signore (Gv 9, 1ss), come pure un dottore della Legge, Nicodemo (Gv 3,1 ss.), ebbero un pensiero giusto dopo aver sperimentato il dire e il fare di Gesù. Così pure le guardie che avrebbero dovuto arrestare il Signore, ma non lo presero perché “nessuno aveva mai parlato come quest’uomo” (Gv 7,40-53).
Il cattivo pensiero, il pensar male si fa quando, dopo aver ascoltato il Figlio dell’uomo con le proprie orecchie e dopo averlo visto praticare segni e prodigi con i propri occhi, si distorce la verità del vissuto, capovolgendo il senso della realtà, costruendo “complesse bugie”. I detrattori di Gesù, dopo aver visto guarire una persona posseduta dai demoni, non volendo riconoscere a Gesù la sua natura messianica, pensarono che la sua azione, invece che compiuta dall’inviato di Dio, fosse avvenuta per volontà del “principe dei demoni” (Mt 12,22-32). Gesù rivelò il loro cattivo pensiero, rispondendo con logica incontrovertibile:
1. Se io scaccio i demoni con l’aiuto di Belzebù, con l’aiuto di chi li scacciano i vostri figli?
2. Ora se Satana scaccia Satana, egli è diviso contro se stesso, come dunque può durare il suo regno?
A fronte della coerenza del Signore (dire = fare), il pensiero cattivo dei suoi denigratori non era solo diffamatorio e oltraggioso, ma costituiva la bestemmia contro Dio che non può essere perdonata: il rifiuto della salvezza. Se uno non vuol essere salvato mediante Cristo, è perduto perché “in nessun’altro vi è la salvezza, poiché non c’è alcun altro nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo esser salvati” (At 4,12; 17,30-31).
Dalla riflessione sul creato e sulla natura umana, potremmo dedurre che il funzionamento del Creato sia fondato su di un ordine stabilito da Dio (Rm 1,20; Eb 11,3). Da oltre 2000 anni, da quando l’attività di predicazione del Vangelo non è più potenziata da segni e prodigi (che raramente sono stati necessari per far sorgere una fede sana e duratura ), non ci rimane che pensare sugli Scritti sacri per verificare se un insegnamento, una pratica o predica più o meno eloquente, una dottrina più o meno accattivante provengano da Dio o dagli uomini (Mc 11,27-33; At 17,11). Il punto dolente è che, nel tempo, la Parola del Signore è stata trasformata in maniera subdola fino ad diventare “un altro evangelo” (Gal 1,1-6), estraneo al modello originale (Fil 4,9).
Purtroppo ciò è avvenuto e avviene ad opera di chi si dichiara credente, fedele e cristiano, con adattamenti e aggiornanti non richiesti da Dio, cioè fuori dal “modello” da Lui stabilito. La difficoltà è enorme per moltissime persone, dal momento che Satana si traveste da angelo di luce (2 Cor 11,14), presentandosi sotto mentite spoglie, facendo credere che “non esiste nessun male se le cose si fanno col cuore”, che sia giusto adeguarsi al corso dei tempi, ciò che rende difficile rilevare l’incoerenza in un certo modo di “dire e fare”, mentre si insegnano precetti che cancellano la dottrina del Signore (Mc 6,30-34; ) pur di soddisfare le voglie del momento (2 Tim 4,3-4).
Gesù ci aiuta a evitare quelli che adulterano la Parola: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno de’ cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiam noi profetizzato in nome tuo, e in nome tuo cacciato demonî, e fatte in nome tuo molte opere potenti? E allora dichiarerò loro: Io non vi conobbi mai; dipartitevi da me, voi tutti operatori d’iniquità. […]. Ed avvenne che quando Gesù ebbe finiti questi discorsi, le turbe stupivano del suo insegnamento, perché egli le ammaestrava come avendo autorità, e non come i loro scribi” (Mt 7,21-29).
Discepolo di Cristo è colui che agisce per amore: ubbidienza alla Parola senza pretesa di poter mai migliorare quel che è stato pensato e realizzato dal Signore. La coerenza tra il dire e il fare sta nell’attuare umilmente la volontà di Dio (1 Cor 13,1 ss.).
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Maurizio Santopietro (02 2020)
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