Riflessioni

LA STRAGE DELLE DONNE

La strage delle donne Nel V secolo la cristiana Melania emancipò in una sola volta 8000 schiavi I morti allineati al porto di Lampedusa Un tempo tutti ritenevano che la morte non dovesse mai diventare spettacolo o mera notizia. Ma oggi è ancora così? Mi sembra che occorra reagire e riflettere su quanto accaduto nella notte del 6-7 ottobre scorso nel Canale di Sicilia. Con vento molto forte e mare grosso, a 6 miglia al largo di Lampedusa affonda un barchino con 50 persone a bordo. I meritevoli sommozzatori della Guardia Costiera ritrovano tredici corpi, fra cui quelli di una mamma abbracciata al figlio di pochi mesi. I cadaveri portati a riva dalle navi intervenute erano tutti di giovani donne, una era anche incinta, provenienti dalla Costa D’Avorio, Camerun, Guinea, Burkina Faso. L’ipotesi, per nulla peregrina, è che fossero almeno in parte destinate come SCHIAVE al mercato europeo della prostituzione. Il fatto sarà ricordato come la “strage delle donne” (Corriere della Sera, 15/10/2019). Una prima riflessione riguarda la schiavitù perché leggendo tali notizie viene fatto di ripensare alla tratta di schiavi e schiave che nel ’700 e ’800 contribuì a incrementare l’economia di Paesi cristiani, America, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo eccetera. Nel I secolo lo schiavo era considerato “res”, cioè “cosa”, oggetto, non aveva diritto ad alcuna forma di associazione e il padrone aveva su lui potere di vita e di morte; per non dire di come venivano trattate in particolare le schiave, soggette a ogni violenza e voglia del padrone. La lettera che Paolo apostolo scrive a Filemone è motivata dalla fuga dello schiavo Onesimo dalla proprietà di Filemone in Colosse. A Roma, Paolo converte Onesimo a Cristo e lo rimanda a Filemone. Gli chiede di accogliere Onesimo non da schiavo ma come “fratello in Cristo” e aggiunge addirittura che, se gli ha rubato qualcosa, Paolo si impegna a restituirgli tutto. Schiavo/schiava, divenuti fratelli in Cristo, partecipano alla Mensa del Signore assieme ai padroni, hanno quindi diritto di associarsi con altri per formare la “chiesa” – che vuol dire COMUNITÀ DI PERSONE UGUALI IN CRISTO, e non tempio, basilica, cattedrale e simili. Il culto, banchetto fraterno, era il mezzo più opportuno per mostrare questa fraternità fondata sulla comune e radicata fede fiduciosa nel Signore. Nessuno potrà mai esaltare a sufficienza l’importanza di questo fatto per l’eliminazione delle barriere erette dallo schiavismo. Spesso Paolo ricordava nelle sue lettere che anche i padroni hanno un Padrone in Cielo (Ef. 6,9), il che doveva suonare come potente richiamo per gli schiavi che accorrevano a Cristo nelle comunità primitive, ma anche come monito agli stessi cristiani proprietari di schiavi. Questi criteri pratici dell’evangelo introducevano nelle strutture sociali schiaviste dell’epoca il “vino nuovo” di Cristo, che in breve avrebbe fatto scoppiare quelle vecchie strutture. E per qualche generazione questo effettivamente accadde. Nel V secolo la cristiana Melania emancipò in una sola volta 8000 schiavi; dopo Costantino, gli imperatori Teodosio e Giustiniano favorirono l’affrancamento degli schiavi. Ambrogio di Milano, Ilario di Poitier, Cirillo di Gerusalemme riprovarono la schiavitù e cercarono di riscattare gli schiavi con ogni mezzo. Poi quei nobili esempi e criteri evangelici furono dimenticati. La schiavitù fu vista come “pena del peccato” (Agostino). Tommaso d’Aquino scriverà nella Summa che “la schiavitù tra gli uomini è naturale… tra un padrone e il suo schiavo vi è un diritto speciale di dominazione”. Come siamo lontani, purtroppo, dal “vino nuovo” dell’insegnamento di Gesù! Sarà solo a metà Ottocento che William Wilberforce (1759-1833), con l’aiuto di un gruppo di credenti che si incontravano nel borgo di Clapham, fuori Londra, riuscirà dopo anni di lotta politica, basandosi sui principi neotestamentari, a far approvare dal Parlamento inglese una legge antischiavista. Una seconda considerazione riguarda l’annegamento di queste 13 persone. Ancora altra gente che affoga in mare. Non è forse gente fatta a immagine e somiglianza di Dio come noi? Non sono persone proprio come noi? Forse, anzi, migliori di noi, perché la sofferenza rende migliori; e quanta sofferenza ci sia in tanti Paesi dell’Africa lo sa Dio e chi certe aree africane le ha viste da vicino. Donne, vecchi e bambini tutti perennemente con una tanica gialla in mano, in cammino verso il pozzo più vicino, forse a chilometri dalla propria abitazione, più o meno fatiscente. I bambini sono tutti privi di scarpe o indossano stivaletti di plastica con grossi buchi al posto della suola. C’è anche chi scava con una pala il proprio pozzo, per trovare acqua con cui annaffiare i “falsi banani” dal cui tronco – quando la pianta ha circa sette anni di vita – si ricava un certo tipo di pane. Nella Rift Valley etiopica si estendono a perdita d’occhio le immense serre per le coltivazioni di rose, che assicurano ai lavoranti pochi spiccioli al giorno – ecco perché conviene importare le loro rose piuttosto che coltivarle qui da noi. Se in un Paese c’è la fame in un altro c’è la guerra. Fame di poveri e guerre fra poveri. L’Occidente sta a guardare. La Cina acquista tutto. E tredici persone, per fuggire fame e guerre, vengono a morire proprio dietro la porta di casa nostra. Muoiono involontariamente battezzati, cioè immersi, nel vento violento e nel mare grosso di una notte mediterranea senza luna, in un battistero profondo in quel punto 60 metri. Il Signore conceda loro misericordia in quel giorno. Chi è indifferente a queste realtà è indifferente a Cristo. Ma Cristo riconosce anche queste persone come sua immagine. Attenzione all’insensibilità di cuore, all’indifferenza della mente, alla volgarità di certe parole, al male dentro di noi che ci fa NON reagire o ci fa agire con cattiveria. Nessuno che si chieda: perché mai molti Paesi di un continente ricchissimo come l’Africa sono ridotti in povertà, schiavitù, prostituzione? © Riproduzione riservata Roberto Tondelli (Libertà Sicilia 10/2019) cnt2000@alice.it

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