Riflessioni

Un solo evangelo

Attraversando la strada Verrà il tempo, infatti, in cui non sopporteranno la sana dottrina ma, per prurito d’udire, si accumuleranno maestri secondo le loro proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità per rivolgersi alle favole (2 Tim. 4,3 ss.) Il rapporto dell’individuo con la realtà esterna, con l’immediato contesto di cui fa parte, offre un’idea, mostra indizi, del suo profilo mentale. Facciamo alcuni facili esempi. Se una persona, attraversando la strada, non si spaventa del fatto che sta per essere investita da un’auto in prossimità delle strisce pedonali, la sua condotta sarebbe considerata incongrua, non normale, poiché non ha mostrato di avvedersi del pericolo con qualche smorfia facciale, segno dello spavento che ci si sarebbe aspettato e che noi avremmo espresso nella stessa situazione, indietreggiando per evitare il tragico impatto. Così, nel caso in cui un’altra persona, che stesse sul ciglio della strada senza decidersi mai ad attraversare – per eccessiva cautela o insicurezza o magari perché preso da attacchi di panico. Rimanendo nel medesimo scenario, si pensi al caso di uno che attraversa la strada correndo quando il semaforo è ancora rosso o sta per diventarlo. Potremmo fare l’esempio di chi attraversa in piena sicurezza, osservando tutte le norme stradali, oppure di chi ha il passo frettoloso come suo stile abituale, o di chi raggiunge il lato opposto della strada camminando con il cellulare all’orecchio, o in contatto audio video, confidando che gli automobilisti siano attenti al suo attraversamento o sentendosi pericolosamente troppo sicuro. Insomma, i casi sono numerosi. Molti sono gli stili deambulatori e quelli di guida, non molti sono i momenti migliori in cui attraversare, ma il modo più funzionale, equilibrato, è quello in cui la persona scelga le condizioni della “sicurezza” per sé e per gli altri, aderendo in modo sano al principio di realtà. A tale scopo esiste il Codice della Strada, che infatti disciplina i comportamenti corretti da osservare per garantire la sicurezza di tutti, pedoni e automobilisti, e la regolarità del traffico. Potremmo usare la metafora per dire che “la strada è la realtà” mentre l’attraversamento è il modo soggettivo con cui si vive il “passaggio” nella realtà stessa. Per estensione si può poi accostare il Codice della strada alla Sacra Scrittura, fonte genuina dell’insegnamento di Cristo, e l’attraversamento al modo soggettivo di “osservare” la verità neotestamentaria. Se applicassimo agli esempi di cui sopra il principio ecumenico della “unità nella diversità”, perché tanto si mira allo stesso scopo, rimanendo nella metafora, potremmo attraversare la strada come più ci piace, nel modo più diverso possibile, poiché lo scopo è uguale per tutti. Potremmo attraversare anche lontano dalle strisce pedonali, magari parlando al cellulare senza controllare se vi siano macchine da una parte e dall’altra; l’automobilista potrebbe guidare mentre accende una sigaretta e, simultaneamente, girare un video con lo smartphone e parlando con i passeggeri, forse dei minori; potremmo attraversare correndo poco prima che il semaforo diventi rosso, proprio quando parte in lieve anticipo un’auto, immaginando le probabili e nefaste conseguenze. La domanda è allora la seguente: a che cosa serve il Codice della Strada, se è lecito osservarlo in modo soggettivo, e quindi diverso, così da annullare anche la sua funzione sanzionatoria? Vale a dire: in che cosa consiste l’autorità della Scrittura se siamo convinti che un particolare insegnamento possa essere diversamente inteso? ovvero che comprenderlo in un modo o in modo un poco “più diverso” abbia la medesima rilevanza, tanto da diventare quindi inefficace a insegnare, correggere, disciplinare, educare alla giustizia di Dio? Che senso avrebbe ciò che scrive l’apostolo Paolo, se poi è legittimo porre sullo stesso piano la diversità dei signori, la diversità dei battesimi, la diversità delle chiese (diversi corpi di Cristo?!), la diversità degli Spiriti, la diversità di Dio, la diversità delle chiamate, la diversità della fede? Ascoltiamo Paolo che, ispirato da Dio, scrive: Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Vi è un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio, Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef. 4,1 ss.). Si confonde, deliberatamente o meno, la diversità delle singole qualità dei cristiani (1 Cor. 12,1 ss.) o la diversità dei doni – elencati da Paolo distintamente (Ef. 4,11 ss.) – con ciò che Dio ha reso esclusivo, immodificabile. Infatti, il concetto emergente nella Bibbia ebraica come nel Nuovo Testamento è quello del “modello da osservare”: Come fu detto da Dio a Mosè: “Guarda di fare secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte” (Eb 8,5), Analogamente fu detto a Noè (Gen. 6,1 ss.) e lo stesso viene detto ai discepoli che seguono l’esempio autorevole del Cristo, il quale agiva e parlava secondo ciò che aveva udito dal Padre (Gv. 5,19 s.). Nel mondo troviamo invece scopi e forme diverse di battesimi, amministrati persino ad infanti; ecco centinaia di tipi diversi di chiese, con le più svariate denominazioni; troviamo che si pratica ben “oltre” quel che è l’insegnamento del Signore (2 Gv 1,9); troviamo speranze diverse, tra queste, quella di ritrovare i nostri congiunti e vivere con loro mille anni in questa terra; o di credere nelle guarigioni miracolose; o, ancora, di pensare che alla fine Dio sarà tanto buono da operare il “condono”, un po’ come si fa nel nostro sistema fiscale. Questo succede a chi si accosta alla Parola del Signore trovandosi sotto la spinta di bisogni e convinzioni (strutture psichiche profonde) più o meno consapevoli; e non solo per bieche ragioni di potere o di denaro. L’effetto concreto è quello di stravolgere la percezione della verità dottrinale pur di non cambiare le proprie, soggettive convinzioni di fondo. Questo processo “omeostatico” produce allora distorsioni più o meno coscienti e altera inevitabilmente la corretta volontà del Signore. Ecco perché Paolo poteva scrivere queste profetiche parole: Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro evangelo. In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire l’evangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un evangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un evangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema! Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo! (Gal. 1,6 ss.). © Riproduzione riservata Maurizio Santopietro (10/2019)

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