Riflessioni

Allo specchio

Occhio e animo Dice Giobbe: “Ero l’occhio del cieco, il piede dello zoppo” Ringrazio uno dei due o tre lettori di Dialogo Biblico che chiede un commento a questa frase di Gesù: “La lampada del corpo è l’occhio. Se dunque l’occhio tuo è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se l''occhio tuo è viziato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebre, esse tenebre quanto grandi saranno!” (Matteo 6,22). Nel brano, inscritto nell’ampio sermone della montagna, Gesù pone in stretto rapporto occhio e corpo, sanità dell’occhio e del corpo, occhio viziato e corpo nelle tenebre. È una relazione così stretta che se la luce interna alla persona (“in te”) dovesse mutarsi in tenebre, queste tenebre diverrebbero impenetrabili, perché scambiare la luce con le tenebre significa considerare il bene male e il male bene. Si entra in un tunnel senza uscita. Nel linguaggio biblico l’occhio della persona umana è in un certo senso riproduzione dell’occhio del Signore, il cui sguardo protettivo vigila su quanti lo rispettano: “Ecco, l’occhio dell''Eterno è su quelli che lo temono, / su quelli che sperano nella sua benignità” (Sl. 33,18). L’espressione “occhio dell’Eterno” è un antropomorfismo (un attribuire a Dio forma umana) per significare la sua provvidenza, il suo aiuto e soccorso. L’occhio umano riproduce quello divino, infatti nella concezione biblica: “L’orecchio che ascolta e l’occhio che vede, li ha fatti ambedue l’Eterno” mediante la sua Sapienza (Prov. 20,12 e 8,22 ss.). Con il proprio “occhio” buono l’uomo può provvedere alle necessità di chi è cieco, proprio perché il suo “occhio” rivolto alla bontà, vale a dire il suo spirito generoso e pronto, si accorge di certe necessità, le vede. Solo una grave miopia impedisce oggi di vedere la povertà, l’oppressione, la tragedia di molti popoli in questo mondo. Giobbe dice: “Ero l’occhio del cieco, il piede dello zoppo” (29,15) nel senso che provvedeva ai bisogni dei miseri handicappati che a lui si rivolgevano per aiuto. L’occhio “oscurato” può anche esprimere dolore nobile e intensissimo: “L’occhio mio si oscura pel dolore, tutte le mie membra non son più che un’ombra” (Giobbe 17,7). La pena di Giobbe è tale che tutte le sue membra (vale a dire tutto il suo corpo) risentono pesantemente di un tale dolore. Qui già si nota la relazione stretta – ricordata da Gesù – tra occhio e corpo. Anche Paolo scriverà che se un membro soffre, tutte le altre membra soffrono con lui, tutto il corpo è in sofferenza (1 Cor. 12,26). Siamo in situazioni in cui l’occhio è illuminato, l’interiore della persona si lascia docilmente guidare dallo spirito del Signore. Tuttavia, proprio perché l’essere umano perde coi suoi fallimenti la primitiva immagine di Dio, può ben essere che egli abbia un “occhio” malato. Per esempio: “Chi ammicca con l’occhio cagiona dolore, e lo stolto di labbra va in precipizio”. Qui si tratta della persona falsa, doppia d’animo, non retta, che dice una cosa con la bocca ma, col linguaggio degli occhi, intende tutt’altro. “Non mangiare il pane di chi ha l’occhio maligno, e non bramare i suoi cibi delicati” (Prov. 10,10 e 23,6). Qui l’avvertimento è contro la persona maligna, che “vede” il male e attribuisce il male. C’è chi vede di “malocchio” anche la bontà: “vedi tu di mal occhio che io sia buono?” chiede il padrone a uno dei suoi operai in una parabola (Matteo 20,15). Occorre star lontani dalle persone maligne. Occorre evitare il mal-occhio, cioè l’occhio che vede il male, che nutre la mente di male. Ecco in che consiste il possibile stato di tenebre. L’occhio è dunque, in un certo senso, espressione dell’interiore della persona. Perciò il profeta piange a dirotto la condizione miseranda di Gerusalemme “finché dal cielo l’Eterno non guardi e non veda il nostro stato” (erano deportati e distrutti! Lam. 3,49). L’occhio del profeta esprime l’affanno del suo animo per una tale situazione tragica (Lam. 3,51). Il volto di Caino è abbattuto, come il suo sguardo, perché nel suo interiore – ottenebrato dal male – egli sta meditando di uccidere il fratello. Il Signore lo esorta a rialzare il volto, e quindi lo sguardo, ma purtroppo in Caino vincono le tenebre ed egli si avvia al fratricidio. Giobbe dipinge con brevi parole un quadro fosco: “L’occhio dell’adultero spia il crepuscolo, dicendo: Nessuno mi vedrà! e si copre d’un velo la faccia” (Giobbe 24,15). Qui l’occhio della persona esprime un’intenzione cattiva. Se le sue intenzioni fossero rette non si coprirebbe il viso. Occorre poi tener presente un dato biblico che le scienze moderne, in ritardo, hanno valorizzato. Si tratta del fatto che, attraverso l’occhio, le immagini si imprimono nel cervello umano ben più di quanto non facciano le parole, come sanno bene i progettisti di immagini pubblicitarie, di effetti speciali e così via dicendo. Inconsapevolmente, essi attuano ciò che Qohelet esprime con queste parole: “Ogni cosa è in travaglio, più di quel che l''uomo possa dire; l''occhio non si sazia mai di vedere, e l’orecchio non è mai stanco di udire” (Eccl. 1,8). Questa insaziabilità di vedere immagini è sfruttata abilmente in molti strumenti moderni, tanto che alcune persone ne divengono “dipendenti” e il loro cervello, disabituato ad ogni forma di ragionamento o riflessione, si nutre solo di immagini, incapace di soffermarsi su una qualsiasi di esse per valutarla, esaminarla, studiarla. Esistono solo immagini fini a se stesse. In tale condizione l’occhio è diventato in realtà incapace di “vedere”. Siamo in una situazione in cui la luce interiore è divenuta tenebra, purtroppo. Gesù, ottimo medico, chiama i poveri, i miti, gli affamati e assetati di giustizia, i perseguitati e offre loro il balsamo che risana gli occhi e illumina i corpi. Così, al richiamo del Signore, il loro comportamento segue la bontà e l’imitazione di Gesù stesso. Saulo di Tarso, per poterci vedere, viene accecato. Prima, quando pensava di vedere, la sua mente era oscurata dal pregiudizio e dall’odio in nome di Dio. Il suo occhio era ottenebrato. Poi, quando diventa cieco, finalmente riesce a “vedere”. Sta in preghiera per tre giorni. Il suo occhio si purifica. Egli cambia vita. È quello che tutti dovremmo fare. Piccola bibliografia: G. Nolli, Evangelo secondo Matteo, 1996 J. Schmid, L''Evangelo secondo S. Matteo, 2000 © Riproduzione riservata Roberto Tondelli (Libertà Sicilia, 08 2019)

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