Riflessioni

Pensando con Camilleri

Muri abbattuti Andrea Camilleri si è seduto fra le pietre siracusane (quasi) eterne del massimo teatro greco del bacino del Mediterraneo… Andrea Camilleri In queste ore, uno scrittore Siciliano (sì, con la esse maiuscola) già entrato nella storia come uno dei più grandi autori a cavallo fra due secoli, lotta tra la vita e la morte all’Ospedale Santo Spirito di Roma. Forse non è esagerato dire che quasi tutta l’Italia tiene il fiato in sospeso per lui, perché ce la faccia e stia ancora con noi per un po’ di tempo, nonostante i suoi quasi 94 anni di età. Ma si sa, “la vita non vi sarà bastata quando dovrete restituirla” (Bertold Brecht). Il che è vero, almeno per ciò che riguarda ‘questa’ vita. Lo scrittore di cui parlo è Andrea Camilleri, che la scorsa estate si è seduto fra le pietre siracusane (quasi) eterne del massimo teatro greco di tutto il bacino del Mediterraneo, per recitare la sua “Conversazione su Tiresia”, atto unico che stimola la riflessione. Disse che lì seduto poteva contemplare ’ncuriusu, incuriosito, l’Eternità. Lo fece con la curiosità potente, ma pur sempre umana e limitata, della sua alta immaginazione e cultura. Oltre ad esprimere qui l’augurio che Camilleri possa superare la grave crisi, mi piace ricordare una sua frase geniale tratta dall’intervista rilasciata al Messaggero di Roma: “ALZARE I MURI SIGNIFICA CHIUDERSI IN CASA CON LO STESSO NEMICO”. Meditiamo, gente, meditiamo. Riflettiamo con l’aiuto di Camilleri il quale, sapendolo o non sapendolo, poco importa, richiama con quella sua frase una realtà fondamentale e magnanima dell’Evangelo di Cristo, un vero e proprio cardine del cristianesimo originario e puro. Infatti, nella sua breve lettera ai cristiani di Efeso Paolo, ispirato da Cristo, scrive: Ricordatevi quindi che un tempo voi, stranieri di nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi, per un’operazione fatta da mano d’uomo nella carne… ricordatevi che allora eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, per la vostra unione a Cristo, voi che una volta eravate lontani siete stati avvicinati mediante la morte di Cristo. Lui è infatti la nostra pace, lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo, ABBATTENDO IL MURO DI SEPARAZIONE CHE CI RENDEVA NEMICI, METTENDO FINE NELLA SUA NATURA UMANA ALLA OSTILITÀ ESISTENTE TRA NOI, vale a dire legge fatta di prescrizioni e di precetti, per creare in se stesso una nuova umanità composta dalle due parti così rappacificate e per riconciliare entrambi con Dio in un solo corpo mediante la croce, dopo aver distrutto in se stesso ogni inimicizia (2,11 ss.). In questo brano Giudei e Gentili (non ebrei) sono inizialmente contrapposti. Questi ultimi si trovavano in condizioni disperate perché privi del Messia/Cristo (che i giudeo-cristiani invece avevano) e quindi privi delle promesse messianiche rivolte anzitutto al popolo d’Israele. I Gentili vivevano in un mondo creato da Dio, ma senza conoscerlo (“senza Dio”). Ma ecco che con Cristo la situazione cambia. I gentili si avvicinano al popolo di Israele mediante il sangue/sacrificio di Cristo. Così Cristo diviene “nostra pace”: i due popoli un tempo ostili tra loro formano ora un popolo solo – lezione troppo spesso trascurata. Cristo abbatte il “muro” che li separava, simboleggiato da un vero e proprio “muro” eretto all’interno del Tempio di Gerusalemme per dividere il cortile del Gentili da quello, più interno, riservato ai soli Ebrei. Quel muro rappresentava una CHIUSURA totale. Proprio come certi cervelli chiusi. La prova dell’esistenza di quel muro sta in una lapide (cm. 60x90) scoperta nel 1871 dall’archeologo francese C. S. Clermont-Ganneau, conservata al Museo Archeologico di Istanbul. La lapide reca un’iscrizione greca che impone un divieto assoluto: “Nessuno straniero penetri al di là della balaustra e della cinta che circonda l’area sacra. Chi venisse sorpreso sarà causa a se stesso della morte che ne seguirà”. Stando al dettato del divieto, la pena capitale era senza regolare processo, comminata con una sorta di linciaggio affidato alla folla di ebrei (G. Ravasi). Ebbene, Paolo attesta che Cristo ha sfasciato, abbattuto, eliminato questo “muro”, una barriera che più non esiste non solo e non tanto perché il Tempio di Gerusalemme venne distrutto da Tito nel 70 d.C., ma perché in Cristo è sorta una umanità nuova costituita sia da Ebrei sia da Gentili. Nella nuova famiglia di discepoli di Cristo tale distinzione non sussiste più. Sulla croce di Cristo è dunque avvenuta non solo l’unificazione delle due parti di umanità – e di ogni altra parte di umanità –, ma è anche avvenuta la riconciliazione di tutta l’umanità a Dio nella famiglia o popolo di Dio. Ecco perché i “muri”, tutti i muri, non hanno senso, né hanno senso le chiusure. Si tratta di costruzioni illogiche, incoerenti, incongruenti, insensate, irragionevoli, irrazionali, sconnesse, senza né capo né coda, assurde, dissennate, sconsiderate. Come mai? Perché i “muri” sono diametralmente opposti al pensiero e alla volontà di Dio rivelata tramite il Sacrificio (con la esse maiuscola) di Cristo. Proprio quel Sacrificio che in genere viene ricordato con i crocifissi, forse dimenticando la serietà cosmica di quella Morte. Camilleri ha ragione: alzare muri significa chiudersi in casa con lo stesso nemico. I discepoli di Cristo sanno chi è il vero nemico dell’umanità. © Riproduzione riservata Roberto Tondelli (Libertà Sicilia 06 2019) Bibliografia: F. Salvoni, Vita di Paolo e lettere dalla prigionia, Milano, 1968/1969. A. Camilleri, Conversazione su Tiresia, Palermo, 2019.

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