Recensione
Gianfranco Ravasi, Lettera ai Romani, EDB, Bologna, 2009
Molte persone desiderose di leggere e comprendere la lettera ai Romani, la trovano piuttosto ostica. Ciò è comprensibile, visto che questa epistola è stata considerata il Monte Everest dell’esegesi anche da tanti studiosi. Per accostarsi a una sua prima lettura, divulgativa ma non superficiale, può essere utile il volumetto che qui presento e che riporta una serie di quattro conferenze del noto biblista G. Ravasi (le altre sue Conversazioni bibliche sono pure elencate dall’Editore). La prima conferenza, coincidente col cap. 1 del libro, riguarda Paolo apostolo, “servo di Cristo”. La lettera è ben presentata a quanti “vogliono ritrovare la purezza di una religione solida… che coinvolge anche la ragione” (p. 11). Per questo vengono subito citati nemici e voci critiche di Paolo, che sarebbe stato “padre di Agostino” (E. Renan) e “barbaro… scrittore grezzo” ma che scrive con una “lingua espressione dell’incandescenza che aveva dentro di sé” (U. Von Wilamowitz). La lettera – nonostante altre espressioni paoline che, oggi, si espongono all’accusa (infondata) di antisemitismo, cfr. 1 Tes. 2,14 ss. – descrive “tutto l’amore di Paolo per quella radice (ebraica) che lo ha alimentato e su cui tutti i gentili sono innestati” (p. 14). Seguono preziosi accenni alla ri-scoperta del manoscritto di Lutero contenente il suo commento alla lettera così come al celebre commentario di K. Barth. La storia tribale (Beniamino) di Paolo viene rapidamente esposta per arrivare a introdurre l’uomo Saulo-Paolo come “l’afferrato da Cristo” (Fil. 3,12), con il suo prima di persecutore dei discepoli e il suo poi di schiavo dell’amore e della verità di Cristo. Egli è il corridore che gareggia per Cristo (quale esempio per i credenti!). Il cap. 2 presenta la città di Corinto (origine della lettera ai Romani) con momenti decisivi per la vita dell’apostolo che si rispecchiano nella epistola ai Romani: la colletta per i santi poveri, la sua richiesta di lotta nelle preghiere (buoni i riferimenti terminologici greci con ampia spiegazione e le notazioni cronologiche). Interessanti le osservazioni su papiro e pergamena, strumenti di trasmissione del testo. Roma, la città e la comunità, è presentata con pagine brevi ma informative, anche se le troppo facili conclusioni sulla scritta Pètros enî (Pietro è qui) ritrovata sul colle Vaticano, vanno corrette alla luce dello studio di F. Salvoni, Da Pietro al papato (1970). Ottimo lo studio di sette parole fondamentali che davvero introducono e sintetizzano l’epistola: charis (grazia), pistis (fede), pneuma (spirito), dikaiosune (giustizia), sarx (carne), amartia (peccato) e nomos (legge). Il cap. 3 mostra la struttura della lettera dotata di un doppio movimento: capp. 1-11 con la tesi del profeta Abacuc (l’uomo giustificato con l’adesione della fede) e capp. 12-16 con una parte più morale ed esistenziale. La lettera è la salita di un monte: all’inizio attraverso l’oscurità del bosco e sottobosco (la condizione di male, di peccato della persona umana); man mano che si sale ecco affiorare la luce dell’amore e della grazia di Dio che si sprigionano in Cristo fino a raggiungere la luce della “giustizia” (dikaiosune) di Dio. L’ultimo capitolo studia la famosa espressione greca eph’ ho – su cui era stata costruita (Agostino) la tesi del peccato originale, che Ravasi neppure menziona – e al bel confronto paolino fra primo e secondo Adamo: l’uomo Adamo peccatore e Cristo vincitore sul peccato e liberatore dal male. Il peccato è presentato come una forza, che però è stata sommersa dalla potenza della grazia di Dio (upereperìsseusen). La trasformazione della persona umana, il suo innesto al Cristo è possibile mediante il battesimo, “l’uomo scendeva nell’interno di un pozzo ove avveniva il battesimo per immersione”, un “trapasso” che ci porta verso l’alto (p. 91), per passare dall’uomo vecchio al nuovo, rinnovato in Gesù Cristo. La scissione interiore descritta da Paolo in Rom. 7 viene ben delineata e studiata per far posto, poi, alla filiazione adottiva di Dio mediante il Suo Spirito. E qui (Rom. 8) si esamina sinteticamente il “gemito” dell’uomo, della natura e dello Spirito che sfocia non nel vacuo lamento ma nella “speranza”. Il francese Teilhard de Chardin che ha meditato a lungo su queste pagine dell’epistola (e che è stato a lungo avversato dalla chiesa cattolica per le due idee) ricorda che “l’umanità può, se vuole, far crescere sempre di più la nuova creatura”, occorre quindi non chiudersi alla scienza che studia la materia (Inno all’universo). L’ultima sezione del capitolo è dedicata alle immagini paoline dell’olivo e dell’olivastro, per ricordare ai gentili il loro debito nei confronti dell’ebraismo e agli ebrei le promesse e profezie indicanti Cristo. Buona l’ultima pagina dedicata alle “opere” come frutto dello Spirito e sigillo dell’amore (capp. 12-15 delle lettera). Finisce così la concezione di una religione “economica”. Le “piste di approfondimento” e la breve bibliografia concludono il piccolo ma prezioso volumetto utile, ripeto, a una rapida introduzione alla lettura di questo testo ispirato da Dio al genio di Paolo apostolo.
Roberto Tondelli
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