BUCHI NERI
Buchi neri
Le scoperte scientifiche ci allontanano o ci avvicinano a Dio?
Di “buco nero” si è parlato nella trasmissione televisiva “Otto e mezzo” (La 7, 22/04/2019) con commenti della giornalista Corinna De Cesare, del fisico Carlo Rovelli (nella foto) e del teologo Vito Mancuso. La seconda parte ha riguardato il buco nero del “conflitto” (odio in politica) nella società attuale. Gli intervenuti hanno lamentato la voglia di ricercare il “nemico” in politica e l’uso del consenso e del potere politico per ottenere ancor più consenso e potere, mentre il potere dovrebbe servire a governare, cosa che non si sta facendo (Mancuso). Nella gestione della cosa pubblica sarebbe auspicabile seguire regole di “gentilezza”, che non è solo amabilità ma concreta “collaborazione” al fine di risolvere davvero i problemi reali della gente; mentre atteggiarsi a “bulletti di periferia” (facendosi fotografare con un’arma in mano) non fa che aumentare pericolosamente il buco nero dei conflitti (Rovelli). Sin qui le idee espresse dal fisico e dal teologo.
Diversa, invece, la prima parte dell’interessante dialogo in cui la problematica posta è se le scoperte scientifiche ci allontanino o ci avvicinino a Dio. La questione si precisa nelle due domande poste da Lilli Gruber, che chiede a Rovelli se lui crede in Dio; risposta: “Non credo in Dio”. Mancuso dice che non crede a una “immagine desueta di Dio”, che gli esseri umani, se credono in se stessi, riescono a capire tante cose del mondo che li circonda, e che “una sana spiritualità non teme la scienza” (ciò è molto vero: la spiritualità di Galileo era sana, quella dei suoi inquisitori malata).
Alla domanda su che cosa c’è dopo la morte, Rovelli risponde che “c’è il mondo che continua ad esistere senza di noi”; Mancuso risponde che “il corpo viene riciclato, la psiche scompare, mentre lo spirito entra forse in una specie di ‘buco bianco’ nella misura in cui ha aderito a valori quali giustizia, onestà, rettitudine, bellezza… come pensa anche il buddismo con la reincarnazione…”. A un ulteriore stimolo della Gruber, il fisico Rovelli aggiunge: “Non sono religioso, sono ateo perché molte religioni mi sembrano legate a credenze che sono favole… non credo a un Dio personale”.
È vero che certe credenze favolistiche allontanano molti dalla fede in Cristo. Ne è un esempio l’idea (e i costi) per le messe in suffragio per aiutare i defunti a uscire dal purgatorio. Qui si tratta di concezioni teologiche e pratiche sviluppatesi in epoca tarda, sconosciute alla tradizione apostolica conservata nell’Evangelo (Nuovo Testamento). Biblicamente parlando è un nonsenso fare una messa in suffragio per Leonardo da Vinci ora che si celebrano i 500 anni dalla sua morte. È solo una iniziativa umana lontana dallo Spirito del Risorto.
Diverso invece mi sembra il non credere in un “Dio personale”. Questa non-fede accomuna il fisico e il teologo. Mancuso infatti ne ha scritto molto nel suo libro Io e Dio (2011), affermando appunto di non credere in un Dio “personale”. Ricorda che Blaise Pascal ritrovò la fede come “fuoco” nel “Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti. Certezza, certezza, sentimento, gioia, pace” (23 novembre 1654, dal suo Memoriale). Poi Mancuso aggiunge: “Se Pascal avesse conosciuto i dati dell’archeologia contemporanea, probabilmente avrebbe avuto qualche esitazione a collegare il sentimento di certezza per il Dio sperimentato con i nomi di Abramo, Isacco e Giacobbe”. Il teologo Mancuso considera Abramo, Isacco e Giacobbe come personaggi leggendari. A conferma della sua tesi, cita tre autori (Finkenstein e Silberman, che sono ebrei, e J.L. Ska, che è un gesuita, insegnante al Pontificio istituto biblico di Roma). Potrei ricordare qui altri studiosi di storia antica, biblisti, archeologi che dimostrano invece il buon grado di storicità della narrazione della Scrittura ebraica, ma preferisco citare invece la persona che non è stata mai chiamata in causa durante tutta la trasmissione televisiva: Gesù Cristo. Il quale, pure, ha qualcosa da dire sulle domande poste, se uno ha orecchi per udire.
Per quanto riguarda il dopo-la-morte, Gesù insegna che ci sarà la resurrezione. Mai Gesù parla del purgatorio. Gesù dice: “Che poi i morti risorgano lo ha rivelato anche Mosè nel passo del roveto quando chiama il Signore, Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Ora egli non è il Dio dei morti ma dei viventi; tutti infatti vivono per mezzo suo” (Luca 20,27 ss.). Gesù non prova quindi l’esitazione del teologo Mancuso nell’affermare che c’è, che esiste (latino: ex+sistere) davvero il Dio della persona di Abramo, della persona di Isacco e della persona di Giacobbe. Strano quindi che, per dare credito ad autori umani, il teologo dimentichi il Maestro Gesù e ciò che insegna ancor oggi nell’Evangelo. Mi sembra pure strano che sia assurdo dire di un essere umano che non è persona, mentre di Dio si possa dire che “non è personale” (quindi non è persona?), e per parlarne in qualche modo si vadano a pescare categorie filosofiche come quella di “bellezza”.
Ma c’è di più. Gesù ha una fiducia così certa e salda in Dio che, dopo essere risorto, dice a Maria di Magdala: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro che sto per salire al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Giovanni 20,17). Come si vede, Gesù parla di “Padre mio, Dio mio”: cioè l’Iddio a cui egli si era affidato prima di spirare: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”. Questo Dio suo, personale, è Colui che lo ha risuscitato. E Gesù afferma che il suo Dio e Padre è anche Dio e Padre vostro, cioè dei suoi discepoli, di coloro che “ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Luca 8,21). Secondo Gesù, Dio è tanto personale che conosce ogni persona, sa come pensa ogni persona, come si comporta ogni persona e “giudicherà” ogni persona secondo la legge dell’Evangelo (2 Corinzi 5,10; Romani 2,16).
Né la Scrittura ebraica né la Scrittura cristiana sono leggendarie. Attestano invece la verità che, purtroppo, tante tradizioni umane, e in particolare cattoliche, tentano ancora di seppellire. Fa bene il fisico Rovelli a non credere alle favole, proprio come il semplice cristiano rifiuta certe favolistiche tradizioni umane. A me pare che per ritrovare la fiducia in se stessa, la persona umana debba ritrovare la fiducia in quel Dio che Gesù di Nazaret chiamava “abbà”, cioè “papà”, per indicare la grande intimità personale che aveva con lui. Peccato che il teologo Mancuso, per citare Budda e la reincarnazione abbia dimenticato Gesù e la resurrezione. Buono, invece, il suo intervento quando ha citato il famoso homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’altro uomo) di Plauto, cui rispose Cecilio Stazio con homo homini deus (l’uomo è un dio per l’uomo). Oggi sta vincendo Plauto, purtroppo. C’è una sindrome di sfiducia in noi stessi. Occorre invece credere nelle nostre capacità e decidere di essere uomini, non lupi, gli uni per gli altri. In questo il teologo ha parlato bene.
© Riproduzione riservata - Roberto Tondelli
[Sintesi di questo scritto in Libertà Sicilia 04 2019]
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