IL LAVORO è MEGLIO
Il lavoro è meglio
Il peccato (cupidigia, egoismo) introduce nel lavoro difficoltà, pene, sfruttamento
È certo una buona cosa che l''Italia, come altri Paesi europei, provveda a un reddito minimo per chi non ha lavoro. La cosa auspicabile resta tuttavia l''attivazione di tutti gli strumenti capaci di dare un lavoro dignitoso a tutti. Perché? Perché da quando esiste l’essere umano esiste il lavoro. Molti immaginano che prima dell’errore di Adamo e Eva non si lavorava, pane e companatico si ottenevano come per magia, e il lavoro fu una specie di castigo per il loro errore. Non è così. Infatti nel racconto della creazione, pieno di figure poetiche, si legge che “Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino dell''Eden, perché lo lavorasse e lo custodisse” (Genesi, 2). Dunque, il LAVORO INTESO COME OPEROSITÀ nasce con gli esseri umani ben prima del peccato. Essi hanno il compito di lavorare e custodire “il giardino”. Certo, il peccato (cupidigia, egocentrismo) introdurrà nel lavoro difficoltà, pene, sfruttamento, schiavizzazione. Forse anche per questo in molte lingue e dialetti “lavoro” si dice “travaglio”. Ma bisogna tenere presente che in principio il lavoro conferiva dignità alla persona umana, mentre oggi occorre faticare molto perché sia così...
Si è accennato che a causa di egoismi e avidità il servizio lavorativo può essere DEGRADATO a servitù, schiavitù. Lo sfruttamento dei braccianti agricoli, anche immigrati, ne è un triste esempio. Su questo aspetto la parola di Dio (Sacra Scrittura) ha da dire la sua. Il libro dell’Esodo mostra come si può passare dalla servitù (schiavitù) al servizio (lavoro). Un faraone egiziano che non ricorda più i benefici economici ottenuti dall''azione lungimirante di Giuseppe (che anni prima era stato ministro dell''economia in Egitto), riduce in schiavitù il popolo giudaico. È interessante notare che quel faraone agisce così “per PAURA”. È scritto che il faraone, i suoi ministri “ebbero paura” e trasmisero questa “paura” anche al popolo egiziano (Esodo, 1). Così il lavoro degli ebrei venne degradato a lavoro forzato. Se il faraone e i suoi ministri avessero voluto, avrebbero potuto consultare gli archivi storici per scoprire che qualche generazione prima Giuseppe, con la sua sapienza dono di Dio, aveva fatto il bene dell’Egitto. Così non avrebbero avuto più paura dei discendenti di Giuseppe. La conoscenza dell''altro scioglie la paura. Quindi, a che serve la paura? La paura serve quando si vuole sottomettere, sfruttare, per egoismo e avidità (peccato). La paura serve per degradare il lavoro ad asservimento.
Le condizioni della persona asservita sono: (1) privazione della libertà; (2) altri decidono sul suo lavoro (molto mal pagato); (3) orario e quantità di lavoro-servitù sono determinati da altri. Come tutti quelli che per paura e ignoranza schiavizzano gli altri, anche il faraone e i suoi consiglieri pensano di avere IL POTERE DI DECIDERE del destino altrui. Non hanno fatto i conti con la pietà di Dio verso gli schiavizzati. Dio infatti dice: “Io sono il Signore! Li farò uscire dalle fatiche dell''Egitto. Li libererò dalla loro servitù” (Esodo, 6). Dio, al contrario degli uomini, mantiene la parola.
L’espressione “Io sono il Signore” (Yahweh) viene ripetuta spesso nel contesto esodico. Dio rivela così il contenuto del proprio nome, cioè “il Signore” (Yahweh). Che cosa significa? Significa l’esperienza di un Dio che a dispetto di tutti i “signori”, faraoni e padroni di questo mondo rivendica di essere Lui “il Signore”. Non un Signore che sottomette e schiavizza, ma che libera e affranca il suo popolo. E così infatti avviene, come ci dice la storia di Mosè prima e di Cristo Gesù poi.
Nell''antichità (ma anche oggi col caporalato e l''asservimento di molti cinesi qui da noi) la persona schiavizzata NON ERA “PERSONA” MA “COSA”. Non aveva una propria vita, quasi non esisteva per il proprio padrone-signore. Ma il Signore, liberando il suo popolo, vuole donargli esistenza e dignità. Si passa, così, da un rapporto padrone-schiavo a un rapporto del tutto nuovo fra il Signore e la Sua Famiglia, il Suo popolo.
Questo rapporto nuovo emerge anche nell’Evangelo dove Gesù dice : “La verità vi rende liberi... se il Cristo vi libera, sarete davvero liberi (Giovanni, 8). La verità crea gente libera, “non più stranieri né ospiti; ma familiari di Dio» (Efesini, 2). Tutto questo si riflette proprio sul “lavoro” della persona libera. Infatti la persona ha il diritto, sancito da Dio, a riposare (“sabato” significa “riposo”); il lavoro dà “il pane” a chi lavora e alla sua famiglia, anche se “l''uomo non vive solo di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca del Signore” (Matteo, 4); il lavoro serve a provvedere “in primo luogo alla propria famiglia” e chi non fa così “rinnega la fede, ed è peggiore di un incredulo” (1 Timoteo, 5). Come si vede, il Signore non parla a vanvera.
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Roberto Tondelli – 02 2019
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