Riflessioni

Morte come guadagno

La morte come “guadagno” Molti folli hanno fatto promesse di vita per poi fallire miseramente. Che dire di Gesù? “Per me il vivere è Cristo e il morire guadagno”. Chi è quel folle che scrive una sciocchezza tale da definire la morte come “guadagno”? È con la vita, coi traffici e i commerci di questa vita, che si guadagna. E, dopo aver guadagnato e accumulato tutto ciò che si può, ecco avvicinarsi un altro folle che dice: “A che ti giova se dopo aver guadagnato tutto il mondo, poi perdi l’anima tua? (…) Quando dovrai restituire l’anima tua, ciò che hai accumulato di chi sarà?” Ebbene, colui che osa definire la morte un guadagno è Paolo apostolo, mentre colui che pone la domanda cruciale “a che giova…?” è Gesù. L’Evangelo invita continuamente l’essere umano a ri/considerare la vita e la morte da un punto di vista molto diverso, quello di Dio. La morte non più come la fine di tutto ma come continuità dell’amore di Dio che mai abbandona. Tale logica costituisce una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di concepire e di vivere sia la vita sia la stessa morte. Questa rivoluzione non è stata studiata a tavolino, non è teoria astratta, ma è resa possibile grazie all’esperienza unica di Cristo Gesù uomo. Egli ci parla ancor oggi dicendoci “io sono la vita”: in me risiede la vita, “chi si affida a me, anche se muoia vive”. Molti folli hanno fatto promesse di vita (pietra filosofale ed elisir di lunga vita) per poi fallire miseramente. Non sarà questo anche il caso di Gesù? Non potrebbe egli essere uno dei tanti folli che hanno detto assurdità? La risposta meditata è “no”. Gesù è degno di essere creduto, perché ha comprovato la sua affermazione di vita con un atto mai riuscito ad alcuno, la sua risurrezione dai morti. Prima e dopo di lui nessun altro è risorto dai morti, nessuno ha scardinato la prigione in cui la morte tiene rinchiusi tutti i morti. Nessuno tranne lui. In questo mondo di morte, in questo pianeta, simile a un grande cimitero in cui i corpi degli esseri umani tornano alla polvere, SOLO GESÙ DI NAZARETH È EVASO DALLA PRIGIONE DELLA MORTE e vive di vita divina presso Dio. Quest’azione unica spacca la stessa Storia in due, un prima e un dopo. Un PRIMA senza speranza o affidato alle credenze del tempo (cibo per l’aldilà nelle tombe egiziane), e invece un DOPO pieno di speranza, ricolmo di quella vita (“la vita sono io”) che riesce – prima di tutto in Gesù – a uccidere la morte. Gesù è davvero “la primizia di quelli che dormono”, cioè la primizia dei morti. Smettiamo di rivolgerci ai morti per avere grazie. Solo Cristo può dire, senza essere smentito, che chi ha fiducia in lui anche se muore vive, e chi vive in lui e crede in lui non morirà mai. È questa la realtà che Gesù ricorda a Marta, sorella di Lazzaro: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà mai. Credi tu questo?” Tutti noi siamo di fronte a questa domanda cruciale. Qui non si tratta solo di credere o non credere a questa o quella religione o chiesa, ma si tratta di credere (affidarsi, confidare, amare) a una PERSONA PRECISA, un uomo che in tutta la sua umanità e sofferenza come pure in tutta la sua divinità e gloria è il solo che può dire: la risurrezione dalla morte SONO IO; la vita sono io; chi VIVE E CREDE IN ME non muore mai, perché possiede sempre la vita. Qui non si tratta di autoconsolarsi con una bella storia né di fuggire il pensiero e la realtà della sofferenza, della malattia, della morte. Non si tratta neppure di dare alla malattia dei propri figli “un vestito che non sa di morte ma di vita”, come fa la forte madre Nadia Toffa. Questa è la forza materna descritta da Manzoni nel noto episodio della bambina Cecilia: la madre l’ha ben pettinata coi capelli divisi sulla fronte, le ha messo un vestitino bianco e lindo, come fosse agghindata per una festa, e la tiene col capo eretto e appoggiato a sé come fosse ancora viva, anche se il braccio della figlia che cade abbandonato indica che la bambina è ormai spirata. NEPPURE L’AMORE MATERNO CI LIBERA DALLA MORTE. Occorre trasformare la morte in possibilità, nell’estremo possibile. Il quale estremo possibile non è la fine di tutte le fini, la “fine di tutto”, la “fine nel nulla”, ma è l’im/possibile. L’im/possibile che si attua in Cristo, il quale afferma: “quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio” (Marco, 10). La vita “in Cristo” qui e adesso non è né utopia né mistero. Può essere attuata con fede fiduciosa, rispondendo con affetto all’amore incommensurabile di Cristo e nascendo di nuovo in Lui, proprio come Gesù consigliò di fare al vecchio Nicodemo. Nella nuova nascita Dio ci permette in un certo senso di anticipare il nostro funerale: “Se siamo MORTI CON CRISTO, noi crediamo che altresì VIVREMO CON LUI, sapendo che Cristo, essendo risuscitato dai morti, NON MUORE PIÙ; la morte non lo signoreggia più. Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre; ma il suo vivere è un vivere a Dio. Così anche voi fate conto d’essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù. Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidirgli nelle sue concupiscenze (…) il peccato non vi signoreggerà, poiché non siete sotto la legge, ma sotto la grazia” (Romani, 6). © Riproduzione riservata Roberto Tondelli – 09 2018

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