IN MIA ASSENZA
In mia assenza
Da Andreas Behrens ebbi
gratitudine e incoraggiamento.
Restituii troppo poco.
Gli conceda il Signore
di trovare misericordia
presso di lui in quel giorno.
Il mio cosiddetto funerale si svolge in mia assenza. Tutti i cosiddetti funerali si svolgono in assenza di colui che si pensa di seppellire. Questo semplice fatto viene spesso trascurato, per cui il cosiddetto funerale finisce per ridursi a mera commemorazione della persona che non c’è più. Chi furono i genitori, chi sono i parenti, che cosa fanno, se appartengono a qualche gruppo particolare, che il dipartito si distinse per qualcosa, se ebbe titoli o meriti, che fu marito esemplare, moglie e madre fedele, figlio amato.
Il discorso dovrebbe invece muoversi su un registro diverso, non tanto commemorativo quanto piuttosto affermativo della vittoria della vita sulla morte. Questa non è follia né esaltazione, come riteneva il governatore Porcio Festo all’udire le parole di Paolo apostolo (Atti 26,24), ma essa è la base granitica e cosmica della fiducia in Cristo.
L’evangelo portato da Cristo è, per l’esattezza, annuncio di vittoria certa della vita sulla morte: e ciò grazie esclusivamente a Cristo. Vittoria non dovuta a una recente scoperta biologica, non esito di qualche temuta, incombente battaglia (Armagheddon!), né dipendente dalla volontà politica di questa o quella figura prominente della Storia nazionale o internazionale. La vittoria della vita sulla morte è già stata conquistata dal Cristo che ha “infranto (katarghèō) il potere della morte e ha fatto rifulgere (fotízō) la vita e la immortalità per mezzo dell’evangelo” (2 Timoteo 1,10). Il senso di katarghèō è proprio quello di rendere inefficace (a-ergon), depotenziare, distruggere il potere della morte. Per contrasto, fotízō significa emettere luce, illuminare e, illuminando, rendere visibile, render noto. Che cosa? Vita e immortalità mediante l’evangelo.
A dispetto di tutte le mille circostanze in cui si è gridato “vittoria”, l’unico che ha vinto davvero, che ha vinto la madre di tutte le guerre, conquistando la vittoria più reale di tutte le vittorie, è Cristo, il quale solo può affermare: “...io ho vinto e sto seduto accanto al Padre mio sul suo trono” (Apocalisse 3,21). Nonostante decisioni conciliari, dogmi e tradizioni umane, su quel trono non c’è alcun altro, né alcun’altra, se non il Cristo glorificato e il Padre suo. Prima di morire lapidato, Stefano afferma: “Io vedo i cieli aperti e il figlio dell’uomo alla destra di Dio” (Atti 7,56).
La realtà rivelata (apocalittica) di Cristo seduto sul trono del Padre, significativa e realissima – perché al di là della realtà a noi visibile –, mostra l’Unico che, senza mentire, può assicurare a ciascuno: “Non temere, io sono il Primo e l’Ultimo, io sono il Vivente. Fui morto ma, ecco, vivo per i secoli dei secoli, e ho potere sulla morte e sul soggiorno dei morti” (Apocalisse 1,18). Cristo rassicura la persona umana, così ansiosa e spesso timorosa anche della sua ombra.
È questa la notizia forte della vittoria sulla morte che echeggia anche nelle parole di Paolo: “L’evangelo è potenza (dúnamis) divina per la salvezza di ogni credente” (Romani 1,16), incommensurabilmente più potente del potere di Trump, Putin e Xi Jinping messi assieme. “Per i secoli dei secoli” è una formula sottratta al Cristo e indebitamente attribuita all’uomo. Cristo, e solo lui, è in grado di dominare la morte, la quale ha i giorni contati perché il suo potere è stato infranto dalla realtà realissima della risurrezione di Cristo. Egli infatti, essendo “risuscitato dai morti è primizia di quelli che dormono” (1 Corinzi 15,20). “Primizia” (aparché), indica i primi frutti della stagione nuova: Cristo “primizia” è infatti inizio della risurrezione di tutti; è il rappresentante dell’umanità nuova perché è colui che dà principio alla risurrezione e alla vita. Egli è il vivente, tutti gli altri “dormono”. “Dormono sulla collina” come i residenti di Spoon River; dormono nelle piramidi o anche, come Mozart, in una fossa comune; dorme Maria – che dunque non appare né a Lourdes né a Medjugorje; dorme Francesco Forgione, dorme Napoleone al Dôme des Invalides e dorme il fabbro nel suo “luogo di riposo” (koimētérion, cimitero); dorme Stefano testimone della fede e tutti noi tra poco ci addormenteremo. L’evangelo accenna dunque con realismo a “quelli che dormono”, ai morti. Così si torna al mio cosiddetto funerale.
Qui occorre dunque chiedersi: come afferrare questa vita meravigliosa offerta dal Signore mediante l’evangelo?
Quando una persona si accosta con umiltà all’evangelo di Cristo, si espone per questo alla possibilità grandiosa di imparare la fede fiduciosa in Cristo, poiché “la fede viene dall’ascolto, e l’ascolto ha per oggetto la parola di Cristo” (Romani 10,17). La fede si impara, con umiltà e attenzione, come si impara a leggere, a scrivere e a far di conto. La potenza autorevole e amorevole del Cristo risorto agisce in me mediante la sua parola, per indurmi pian piano a rivedere tutta la mia esistenza alla luce di quella parola verace e unica. Se io sono umile all’ascolto, quella parola mi conduce, quasi per mano, alla vera conversione: “Non sapete forse che quanti siamo stati immersi [battezzati] in Cristo Gesù, siamo stati immersi nella sua morte? Noi siamo stati dunque sepolti con lui, per mezzo della immersione [battesimo], nella morte affinché come il Cristo fu risuscitato da morte per la gloria del Padre, così anche noi potessimo camminare in novità di vita...” (Romani 6,3 ss.). Per l’evangelo è “conversione” il pentimento del proprio passato sbagliato, il cambiamento della propria mentalità. “Convertirsi” a Cristo non è semplicemente cambiare religione, ma cambiare modo di pensare e di vivere.
La persona adulta e responsabile, che impara a fidarsi di Cristo, vincitore sulla morte, desidera “innestarsi” a Cristo stesso (súmfuomai, Romani 6,5) per legare intimamente il proprio destino alla vita che è in Cristo. Ecco cos’è l’immersione in Cristo [battesimo]: non misteriosa cerimonia rituale formulaica, ma vera morte in Cristo e reale seppellimento (immersione), il quale, sulla base della fede fiduciosa in lui, è seguito da rinascita (emersione) a vita nuova, comportamento nuovo, etica nuova suggerita ora dal Signore della vita: è questo l’inizio del “cammino in novità di vita” descritto nella lettera ai Romani (6,5-23 + 12,1 ss.) e in tutto il Nuovo Testamento.
Per il discepolo, dunque, la realtà realissima è che Cristo è risurrezione e vita, e che chi si affida a lui, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive e crede in Cristo non morrà mai (Giovanni 11,25 s.). Epicuro scrive con arguzia: “Il male che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi» (Lettera sulla felicità). Grazie a Cristo, il cristiano può dire con fiducia: la morte per me non è nulla perché vivo in Cristo (il servizio del discepolo) e credo in Cristo (la fede fiduciosa), e non morrò mai.
La mia immersione in Cristo (battesimo) fu dunque il mio vero funerale – che ebbe in verità ben poco di... funereo, anzi fu gioioso per la rinascita in Cristo alla quale si partecipa con tutta la propria presenza, di tutto cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la forza. Oggi che il mio corpo è nella bara, quello a cui voi assistete è il mio cosiddetto funerale. Dovunque si faccia, chiunque dica qualsiasi cosa sul mio conto, io sono contumace, sono altrove, sono “con” Cristo, innestato alla vita che è a disposizione gratuita per tutti (Filippesi 1,23).
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Roberto Tondelli – 04 2018
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