Riflessioni

LA MERAVIGLIA DEL CORPO

La meraviglia del corpo Spesso la fede (ma si tratta di fake faith, cioè di fede falsa) è pura questione esteriore... “Poiché tu hai formato i miei reni, / mi hai tessuto nel seno di mia madre. / Io ti ringrazio di avermi fatto in modo sì perfetto: / meravigliose sono le tue opere, l’anima mia ben lo sa” Apriamo queste brevi note sulla bellezza e la meraviglia destate dal corpo umano con una citazione poetica lunga. È un brano del Salmo 139 che il re David, il Cantore d’Israele, appronta per il maestro del gruppo corale che dovrà cantare il salmo stesso. Le parole dell’inno costituiscono un monologo della persona umana. Non però un monologo privo di pubblico. Infatti il pubblico è Dio. Rivolto dunque al Signore, il poeta gli dice che nel segreto più intimo della propria personalità, l’io umano è scrutato e penetrato fino in fondo dalla presenza silenziosa e ineluttabile di Dio. L’essere umano, sin dal tempo in cui la propria coscienza non esisteva ancora, viene formato e quasi “ricamato” da Dio stesso nell’oscurità delle viscere materne. Il poeta considera con grande senso di “meraviglia” (ciò che desta meraviglia, il miracolo) che la persona umana sia stata fatta con tanta perfezione: dell’essere umano Dio conosce sia i sentimenti (le reni, secondo la concezione ebraica) sia l’ossatura che si forma nel seno materno. Poi conosce i giorni della persona che diventerà. Tutto ciò desta ammirazione, è mirabile. Come fu ed è mirabile, ad esempio, il corpo di colei che fece da modella per la Venere Landolina conservata al Museo Paolo Orsi di Siracusa (v. foto). Ecco dunque l’altissima poesia davidica: O Signore, tu mi scruti e mi conosci. Tu sai quando mi seggo o mi alzo, tu penetri da lungi il mio pensiero. Tu vedi il mio cammino e le mie soste, tutte le mie vie ti sono note. Non è ancora la parola sulla mia lingua e già tu, o Signore, la conosci tutta. Da tergo e di fronte tu mi stringi su di me tu posi la tua mano. Mirabile è la tua scienza per me e troppo alta perché io possa comprenderla. Dove potrei sottrarmi dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se pur salissi in cielo, ivi tu sei, se discendessi nello Sceòl, eccoti là. Se prendessi le ali dell’aurora e andassi ad abitare all’estremità del mare, anche là mi condurrebbe la tua mano, mi coglierebbe la tua destra. Se dicessi: Mi avvolgano le tenebre e la notte mi sia luce d’intorno, neppure le tenebre sono oscure per te, la notte splende come il giorno, così è il buio per te come la luce, poiché tu hai formato i miei reni, mi hai tessuto nel seno di mia madre. Io ti ringrazio di avermi fatto in modo sì perfetto: meravigliose sono le tue opere, l’anima mia ben lo sa. Non ti erano nascoste le mie ossa, mentre ero formato nel segreto e tessuto nelle profondità della terra. I tuoi occhi mi hanno visto informe embrione, nel tuo libro erano tutti scritti i giorni fissati, e ancora neppure uno esisteva...” (Salmo 139,1 ss.). Queste espressioni, pur altamente poetiche, sembrano non fare impressione all’ateo o all’agnostico. Ciò è ovvio. Meno ovvio, anzi preoccupante, è che non colpiscano neppure la mente di tanti credenti, purtroppo. Per cui invece di imparare a pensare e a pregare e ad agire in base alla creatività poetica del salmista, la mente sembra piuttosto afferrata da claustrofobia ripetitiva, monotona, neniosa. Spesso la fede – ma si tratta in tal caso di fake faith, cioè di fede falsa – rischia così di divenire pura questione esteriore, da mettere in mostra, ipocritamente, in occasione di culti, feste e processioni, quando si fanno inchini e sorrisi di circostanza, perché tutti vedono e perché tutti vedano. Ma nella vita reale, nell’esistenza di ogni giorno, i maschi considerano il corpo della femmina non come delicata opera di Dio, formata nel segreto, preziosa per Dio e per la stessa persona umana – chi di noi non tiene al proprio corpo, cioè a se stesso? –, ma lo considerano come puro e semplice oggetto di desiderio e piacere. E le femmine non vogliono certo essere da meno nel considerare il corpo maschile. Accade così che la meraviglia meravigliosa e meravigliante del corpo umano venga annullata e fin negata da una certa religiosità (neognostica?) oppure che sia s-venduta sul mercato pubblicitario o nei messaggini che a milioni vengono immessi in rete e che spesso sfuggono al nostro controllo. Proprio il ricordo destato dal “giorno della memoria” dovrebbe contribuire anch’esso ad arrestarci un momento per riflettere se anche noi non stiamo trattando i corpi degli altri come puri oggetti da ammassare in cataste fotografiche, e non come persone tessute dalla mano abile e accurata del Signore. La poesia non fa granché impressione all’individuo rozzo e al praticone disabituato alla riflessione. Eppure “poesia” e “poeta” sono parole che significano “fare” (poiéo, poíema, poietés). Indicano quindi azione e muovono all’azione, all’agire concreto, al fare operoso. In tal senso Dio è il poeta per eccellenza (Ef 2,10!). Se si guarda con occhio onesto alla lunga vicenda umana, si nota come le cose migliori, le più nobili, sono state pensate, raggiunte e attuate proprio quando ci si è lasciati condurre da princìpi poetici come quelli espressi da David nel salmo sopra citato. Motivi elevati hanno guidato individui e popoli quando si sono ispirati alla poesia che riconduce a Dio. Parole alte possono creare mondi e realtà elevate. Perciò Gesù, il più nobile dei discendenti di David, può ancora oggi dire: “Io infatti non ho parlato di mio; ma il Padre che mi ha mandato, mi ha comandato lui quel che debbo dire e di che debbo ragionare; e io so che il suo comandamento è vita eterna” (Gv, 12). La parola del Cristo, perfettamente coincidente con quella del Padre, può dunque creare realmente vita eterna, cioè “vita piena” vicino a Dio. La poetica di Dio crea in Cristo la possibilità realissima di “vita vera”. Quali siano invece i risultati della fede falsa (fake faith) e della fede nel nulla (ateismo) è bene indicato ogni giorno dai segni del nostro tempo. Piccola bibliografia: Gianfranco Ravasi, Il libro dei Salmi (3 voll.), 1985. Luis Alonso Schökel – Cecilia Carniti, I Salmi, 1993. Tiziano Lorenzin, I Salmi, 2000. © Riproduzione riservata Roberto Tondelli – 02 2018

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