Riflessioni

Monopoli: hanno ammazzato un anziano

Monopoli: hanno ammazzato un anziano C’è anche la violenza contro i vecchi... Monopoli è una cittadina dell’area barese con un bel centro storico di origine altomedievale sovrapposto ai resti di un abitato fortificato già nel V secolo a.C. da popolazioni dell’Illiria (più o meno l’attuale Albania). Tra mare e altopiano delle Murge, sta la Chiesa di Cristo delle zolle, edificio tardo rinascimentale (XVII sec.), ridotta oggi a “spazio teatrale” – strano destino quello della chiesa di Cristo “delle zolle”, una chiesa ridotta a teatro, quindi la chiesa che imita il mondo, invece del contrario. Eppure, né l’antichità del luogo né la sua apparente religiosità hanno salvato Giuseppe Dibello dall’assalto dei due giovinastri fermati per la morte del 77enne. Lo hanno spinto in mare da una scogliera. In un’intercettazione ambientale, il più giovane dei minorenni, appena 15 anni, ha accusato l’altro, 17 anni, dicendo: “Ho provato a dire [ai carabinieri] una fesseria, ma poi ho dovuto dire che li hai spinti tutti e due tu” (la Repubblica 04/05/2017 – gli anziani attaccati dai giovani erano due, uno si è fortunosamente salvato). Il fattaccio potrebbe far notizia solo per qualche giorno, per poi rientrare nel mare magnum dell’indifferenza generale. Nessun movimento pare interessarsi alla violenza che si esercita anche sugli anziani – forse perché non è politicamente utile? La parola di Dio invece ha da dire qualcosa in proposito. Già il Libro dei Proverbi recita che “la gloria dei giovani sta nella loro forza, / e la bellezza dei vecchi nella loro canizie” (20,29). Il salmista prega: “Anche quando sia giunto alla vecchiaia e alla canizie, o Dio, non abbandonarmi” (71,18). Non si esagera se si afferma che nella storia del popolo ebraico antico – cosa del resto comune ai popoli antichi in genere – gli anziani esercitavano ruoli sociali fondamentali. Erano i rappresentanti del popolo dinanzi alle autorità straniere (Esodo 3,18). Partecipavano alle importanti funzioni pubbliche sia sociali (il funerale di Giacobbe, Genesi 50,7) sia religiose (i sacrifici animali, Levitico 4,15). Un gruppo di anziani costituiva la “gherusìa”, la corte dei “giudici di pace” del popolo – secondo il prezioso consiglio di Jethro, suocero di Mosè (Esodo 18). Quando lo stanziamento del popolo in Palestina fu compiuto, si ebbero anziani in ogni città (Ruth 4,2). Quando Gerusalemme è in rovina per le invasioni nemiche, la scena triste degli anziani della città “seduti a terra” mostra lo stato di decadimento morale e sociale in cui ci si trova (Lamentazioni 2,10). Gli anziani di città e villaggi costituiscono ancor oggi un’importante istituzione fra gli arabi di Palestina. Per una fortunata circostanza e del tutto casualmente, chi scrive ebbe ad assistere alla riunione degli anziani di un villaggio sperduto nella Rift Valley in Etiopia. Essi godevano evidentemente di rispetto e considerazione non comuni. La loro parola era ascoltata e quasi sempre definitiva nelle questioni discusse. Anche all’interno del popolo di Dio che si forma attorno alla figura del Cristo Risorto (“signore” = risorto; Yehoshuà = Dio salva), vengono costituiti “anziani per ogni città” in cui si trova una “ekklesía tou theoū”, cioè una “chiesa di Dio” in Cristo Gesù (Tito 1,5; 1 Corinzi 1,2). Gli anziani hanno funzioni decisionali nell’ambito della chiesa cittadina e ne sono i pastori morali spirituali (Atti 16,4 e 20,28). Gli anziani sono chiamati al capezzale del malato per pregare e incoraggiare (Giacomo 5,4). Pietro, che il Nuovo Testamento presenta come “anziano” (presbúteros), esorta gli anziani delle comunità cittadine di Galazia e d’Asia Minore ad essere gli “esempi del gregge” (1 Pietro 5,1 ss.). Si potrebbe continuare con le rilevanti funzioni che la civiltà ebraica prima e cristiana poi hanno attribuito agli anziani. Faccio solo un’ultima considerazione. Nel contesto dell’ultimo brano citato, Pietro, ispirato da Dio, raccomanda: “Voi più giovani siate soggetti agli anziani”; il che ovviamente esclude ogni tentativo di rapina ai danni di un anziano e l’omicidio dell’anziano che cerca di resistere alla rapina. Certo, qualche Lettore scrupoloso sottolineerà la differenza tra gli anziani di una comunità cristiana cittadina e le persone anziane in generale. Vero. Qui, però, si cerca di far rilevare che il maschio anziano, come pure la femmina, abbiano sempre goduto di rispetto e onore particolari, dovuti a età e comprensione della vita. Qualcun altro osserverà che le indicazioni bibliche vanno lette anche alla luce delle amarissime esperienze sociologiche attuali. Infatti non tutti quelli che hanno i capelli bianchi sono saggi e generosi e amabili. Ce lo ricorda Eduardo De Filippo che nel 1935 scrive la commedia Uno coi capelli bianchi (Cantata dei giorni pari). L’innesto del dramma è dato dal modo fastidioso in cui Giambattista rinfaccia la propria vecchiaia per castrare moralmente suo genero, Giuliano. La contrapposizione rappresentata è quella eterna tra padri e figli. Ma qui l’anziano Giambattista cerca in ogni modo di distruggere la famiglia del genero, appena formatasi. L’amaro finale di commedia mostra Giuliano esasperato riversare sul suocero tutto quello che questi ha provocato con la sua falsa serietà, serietà pretesa solo per via dei suoi “capelli bianchi”. Eduardo De Filippo coglie nel segno. Dio solo sa in quante circostanze gli anziani, invece di incoraggiare i giovani, ne sono invidiosi, fino a derubarli dei migliori risultati dei loro sforzi giovani e generosi. Sul palcoscenico della vita, così spesso imitato nella “chiesa di Cristo delle zolle”, se ne vedono proprio di tutti i colori: preti anziani invidiosi dei più giovani; lavoratori più esperti che ostacolano i giovani invece di aiutarli; colleghi d’ufficio anziani gelosi dei più giovani; predicatori anziani che nutrono malevolenza e invidia per i giovani, e li derubano dei loro successi. Così è la vita, e chi non la vuol capire non capisca. Come negare che la moderna crisi della famiglia ha generato anche le tristissime situazioni che Eduardo descrive? Non ci si può nascondere la complessità dei problemi, né si può tentare di risolverli solo citando versetti biblici, i quali purtroppo hanno poca o nulla autorità per i giovani e, purtroppo, anche per molti anziani. Occorre attuare un tentativo disperato eppur speranzoso per cercare d’insegnare ai giovani perché dovrebbero rispettare gli anziani (e viceversa); perché dovrebbero ricercare il consiglio degli anziani (e perché gli anziani dovrebbero apprezzare i giovani); perché dovrebbero rispettare la maturità degli anziani (e gli anziani l’iniziativa dei giovani); e perché mai anche la terza e quarta età meritano onore e ascolto, quando esprimano sobrietà, saggezza, generosità, disponibilità, bontà d’animo. Questo importante e necessario tentativo pedagogico è disperato perché deve combattere la politica, la pubblicità, la televisione e ogni mezzo di comunicazione sociale che sono del tutto polarizzati sul “giovane” e sul “giovanile”. Gli anziani contano meno, poco o nulla. Nel contempo, però, il tentativo pedagogico è pieno di speranza perché il Consiglio della Parola di Dio è eternamente buono e positivo, mentre mode e problematiche sociali sono effimere. È urgentissimo un ritorno alla riflessione e all’educazione che origina dalla Parola del Cristo. Il quale non fece in tempo a diventare anziano. Ma Giovanni lo vede risorto come uno “col capo e i capelli bianchi come candida lana, come neve”. È il candore dell’eternità che mai invecchia e mai passa di moda, proprio come la parola Buona di Dio (Apocalisse 1,14). © Riproduzione riservata Roberto Tondelli – 05 2017 Per osservazioni e domande si può scrivere a: cnt2000@alice.it

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