Riflessioni

VELO E VIOLENZA

Velo e violenza Una violenza che sarebbe riconducibile al Nuovo Testamento... Si moltiplicano purtroppo i casi di violenza subìta da giovani ragazze islamiche, le quali in casa indossano il velo ma se lo tolgono fuori casa o in classe. Alcune di queste giovani sono state picchiate dai genitori. Per essersi tolta il velo una giovane è stata addirittura rasata dai genitori – che sono stati denunciati all’autorità giudiziaria. Per il caso della tredicenne di Siena picchiata dal padre perché rifiutava di imparare il Corano e d’indossare il velo si è avuta la dura reazione di Mohamed Abdel Qader, imam di Perugia, che ha affermato: “Condanno fermamente episodi simili che non appartengono all’Islam... I bambini vanno trattati con affetto e amore, l’adolescenza è un momento particolare nella vita di ogni individuo e deve essere affrontato con ancora maggiore attenzione” (Siena, ragazzina rifiuta il velo e il padre la picchia, la Repubblica, 11/04/2016). Parole sagge, queste dell’imam. Questi casi impongono tuttavia almeno qualche considerazione. 1. La forza della cultura. La cultura, intesa come complesso delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche e scientifiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico, esercita di fatto una grande forza sulla singola persona. È normale che le giovani tendano a togliersi il velo, almeno in presenza di altri giovani come loro; a quelle giovani non piace semplicemente sentirsi diverse. Imparare una lingua nuova significa anche adattarsi velocemente (nel caso dei giovani, meno rapidamente nel caso di adulti) a modi di fare nuovi e a costumi diversi. Occorrono motivazioni profonde, competenza e senso critico ben esercitato per rifiutare ad esempio manifestazioni religiose accettate dalla maggioranza. Ci si potrebbe chiedere ad esempio: quale sura (sezione) del Corano presenta il velo come comandamento divino? E ancora: il velo è un comandamento coranico o una semplice tradizione di origine umana? Domande come queste potrebbero muovere una discussione positiva all’interno delle stesse comunità islamiche. Sono domande che possono aiutare a discernere bene ciò che viene da fonte religiosa verace da ciò che invece è puro e semplice costume di origine umana (forse maschile?), tramandato per molte generazioni, ma non di origine divina. 2. Si è detto sopra che le giovani islamiche tendono normalmente ad adattarsi ai costumi dei giovani coi quali condividono la vita, a scuola o in altri ambienti. Ci si adatta alla società che ci circonda, una società che si dice “cristiana”. Ora il cristianesimo è fondato sull’insegnamento di Cristo espresso dagli scrittori del Nuovo Testamento. La sua semplice lettura mostra però quale notevolissima differenza ci sia tra il comportamento dei giovani (e di adulti che si dicono cristiani e cristiane) e le esigenze di spiritualità e modestia poste proprio dal Nuovo Testamento. Dov’è oggi la modestia di Maria, fidanzata di Giuseppe? Dov’è il desiderio d’imparare la parola di Dio nutrito da Maria sorella di Lazzaro? Dov’è la voglia di servire il prossimo espressa da Febe, diacono della chiesa di Cencrea? Dov’è il desiderio di pregare e la pratica della preghiera espressa ad esempio da Lidia, promotrice della comunità di credenti in Cristo a Filippi? Forse, se i giovani (e prima di loro gli stessi adulti) di questa società cristiana mostrassero una coerenza forte con la parola di Cristo espressa nel Nuovo Testamento, forse se ci fosse meno fornicazione e meno malcostume, più rispetto per il prossimo e verso Dio, forse i genitori islamici di quelle ragazze sarebbero meno preoccupati che le figlie possano perdere qualche tradizione islamica, perché avrebbero davanti agli occhi gli esempi nobili e alti dei molti che si comportano in armonia con l’Evangelo. Purtroppo non è così. Si può forse negarlo? 3. L’ignoranza biblica nel nostro Paese è atavica e marcata, ecco perché, ad esempio, pullulano nuovi profeti e strane dottrine d’importazione. Ma dopo i casi di violenza menzionati sopra, qualche giornalista si è affrettata a informarsi sul velo e ha scoperto che esso sarebbe stato introdotto da Paolo apostolo nella Prima Lettera ai Corinzi. Quindi la violenza sarebbe riconducibile al Nuovo Testamento: e ti pareva che non era così! Se si volesse fare il gioco dello scarica barile, si potrebbe ricordare che il velo muliebre era presente anche nella Bibbia ebraica: Rebecca indossa il velo all’arrivo di Isacco. Ma non è il caso di procedere su questa strada. Il brano di 1 Corinzi 11 si riferisce a donne che nella comunità facevano belle preghiere e buone esortazioni. Il velo era allora, probabilmente, un costume che intendeva onorare la donna in pubblico – se non erro, è anche questo il suo significato profondo nell’islam. Ma Paolo stesso limita subito la validità della sua argomentazione sul velo scrivendo che “nel Signore” come la donna non può esistere senza l’uomo, così nemmeno l’uomo può esistere senza la donna, sono fatti l’uno per l’altra. Ciò, del resto, si può ben comprendere anche da una lettura attenta dei primi capitoli della Genesi. L’uomo fu creato uomo-maschio e uomo-femmina. Assieme essi costituiscono la “statua vivente” di Dio. Assieme hanno con Dio una relazione unica (anche se molti preferiscono ignorarla). Forse, perciò, prima di attribuire a Cristo Gesù la responsabilità di questa violenza di genere bisognerebbe informarsi un poco meglio, altrimenti si rischia solo di far riconoscere l’ignoranza che ci ottenebra. © Riproduzione riservata Roberto Tondelli – 04 2017

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