CONFUSIONE e princìpi
Confusione e princìpi
Una possibile risposta alla confusione
Il giornalista laico Michele Serra scrive che questi “sono anni di grande confusione, e proprio per questo bisogna tenere saldi i pochi princìpi di cui siamo muniti. Pochi e sacrosanti “ (la Repubblica, 04/02/2017). Egli scrive in particolare del caso del vedovo di Vasto che ha ucciso il ragazzo di vent’anni che investì sua moglie. Serra afferma che il principio “Mi faccio giustizia da solo” è sbagliato e in fondo è lo stesso che viene utilizzato anche, per esempio, da “alcuni maschi” che esercitano una sentenza di morte contro la femmina quando una relazione si rompe. Serra dice quindi che la vendetta non è lecita, che “l’esercizio privato della giustizia è sempre e comunque un delitto contro la civilizzazione”, che con pietà e severità bisogna dire che ha torto marcio chi tenta di fare dell’assassino di Vasto una specie di eroe. Chi fa così, scrive Serra, è “in colpa nei confronti della comunità. Verso la quale (si) hanno dei doveri irrinunciabili”. Tutto vero, giusto, condivisibile. Tanto che le sue parole suggeriscono qualche considerazione.
Cominciamo dagli “anni di grande confusione”. La confusione regna, quasi indisturbata, per lo meno dai tempi della città di Babele: il sogno degli uomini di costruire una città grande, che li raccogliesse tutti, costruita secondo i criteri tecnologici più moderni (“mattoni e bitume” a quei tempi!), dotata di una torre altissima attorno a cui raccogliersi per acquistare fama ai loro stessi occhi (Genesi, 11). Finì tutto in “confusione” perché a un certo punto dell’opera non si capirono più. Occorre buona volontà, pazienza, grande sforzo per capirsi gli uni gli altri, per costruire assieme qualcosa senza che questo o quello si innamori narcisisticamente di se stesso, senza vantarsi dei propri mezzi, senza invaghirsi della propria maledetta fama egoistica. Gesù promise di edificare la città di Dio, cioè “sua” comunità. Lo fece, e lo fa ancor oggi, in modo umile, amorevole, altruistico, generoso, dolce, cordiale. Ebbene, le sue azioni più belle furono considerate come opere di satana e invece di riconoscerlo come specialissimo inviato di Dio fu preso per pazzo e per seduttore del popolo (così dice il Nuovo Testamento). Ancor oggi molti che si dicono cristiani preferiscono affidarsi ai vanitosi, ai famosi, invece che confidare in Cristo Gesù risorto. È proprio vero, c’è grande confusione in giro. Anzi una vera babele.
Secondo, la vendetta è un “delitto contro la civilizzazione”. Anche questa sembra un’affermazione molto moderna. In realtà essa risale alla notte dei tempi. Dopo aver ucciso Abele, passata l’ubriacatura di rabbia e sangue, Caino si rese conto dell’enormità del suo peccato: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!” Temette di essere a sua volta ucciso da qualcuno, ma “il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chi lo avesse incontrato” (Genesi, 4). In tutta la storia umana (anzi, disumana) non c’è mai stato consiglio e “segno” più dimenticato e trascurato di questo: nessuno tocchi colui che ha osato uccidere un altro essere umano suo fratello. Un tale gesto lo si sarebbe dovuto ritenere “un delitto contro la civilizzazione”.
Però non fu l’essere umano (disumanizzato dal peccato) a inventare “la civilizzazione”. Fu invece il Signore a consigliare e indicare la via della “civilizzazione”, via così spesso perduta, spesso falsificata in mille modi. I sapienti moderni hanno deciso di fare a meno del consiglio civilizzatore di Dio: l’Evangelo è relegato tra le anticaglie (chissà chi l’ha scritto!?), la civilizzazione fa a meno di Dio. Spesso la stessa fede fa a meno dell’ubbidienza alla norma di Cristo. Non poche persone, sia colte sia ignoranti, affermano seriamente di credere in Cristo pur mancando di ubbidire a Cristo: vere contraddizioni viventi. La religione dei più si affida e confida nei morti famosi invece che nel Dio vivente. C’è da chiedersi se Caino non fosse migliore di molti di noi, lui almeno si rese conto della grandezza della propria colpa.
Oggi la persona che si avvicina alla “civilizzazione” del Signore (= Evangelo) lo fa quasi sempre con diffidenza e quasi mai pensando all’enormità della propria colpa dinanzi a Dio. Siamo malati gravi, ammorbati nel profondo. E pensiamo di curarci succhiando caramelle alla menta o andando da medici che ci dicono ciò che vogliamo sentirci dire. Abbiamo troppo da fare con le serie cose della vita per interessarci della “civilizzazione” vitale che il Signore ci propone in Cristo. Somigliamo a quel figlio che, avendo ricevuto un ottimo nome e un’ottima eredità, si scordò di avere un padre che gli aveva dato ogni cosa.
Ci permettiamo perciò di riscrivere la conclusione dell’articolo di Serra: siamo in colpa nei confronti del Signore prima e poi anche della comunità umana come egli la vuole. Verso il Signore e verso la comunità umana abbiamo dei doveri irrinunciabili.
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Roberto Tondelli – 2017
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