Riflessioni

Mi lascerete solo

“Voi mi lascerete solo...” Beati coloro che hanno il coraggio di restare soli, ma con Gesù e col Padre Suo, in mezzo a una società in cui il peccato diventa estremamente peccante La frase che intitola questa pagina è detta da Gesù durante i discorsi a tavola che tiene agli apostoli all’ultima cena mangiata assieme (Giovanni 13-17). Si tratta di discorsi incoraggianti, nonostante l’arresto ormai imminente di Gesù, nei quali ricorrono molte cose: il comandamento di amarsi gli uni gli altri “come io ho amato voi” (13,34), amore che deve tradursi in osservanza della sua parola; la chiara indicazione della “via” per andare al Padre, “via” che è Gesù stesso (14,4) mediatore e intercessore unico ed esclusivo; la promessa – poi adempiuta – dello Spirito di Verità che avrebbe guidato gli apostoli in “tutta” la verità (16,13), il che esclude rivelazioni successive; l’amore del Padre verso Gesù, al quale deve somigliare l’amore dei discepoli “gli uni gli altri” (15,9 ss.), ma al quale corrisponde pure tanto “odio” da parte del mondo che non conosce Gesù (15,18 ss.); l’insegnamento a pregare “nel suo nome” per ricevere ogni bene spirituale dal Padre (16,26 s.), il che esclude ogni altro “nome” mediante il quale rivolgersi a Dio. A questo punto, senza similitudini, ma in modo chiaro e aperto, Gesù annuncia la sua dipartita e che sarà lasciato “solo” (16,32). 1. Gesù è stato lasciato solo dai “suoi fratelli che non credevano in lui” (Giovanni 7,6). Certo la famiglia, ai tempi di Gesù, era più forte di oggi. Ma si reggeva sulla base di regole famigliari rigide. Regole che Gesù rompe quando decide di mettersi a predicare, abbandonando casa e lavoro paterni. Ma rompe quelle regole soprattutto quando afferma che suo fratello, sua sorella e sua madre sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Marco 3,35). Quando si tratta di scegliere tra la parola di Dio e le parole dei suoi famigliari, Gesù non esita, anche a costo di rimanere solo. 2. Gesù è stato lasciato solo dai suoi nemici giurati, i “capi sacerdoti” giudei. Le discussioni acerrime che Gesù ha con costoro punteggiano la narrazione dell’evangelo di Giovanni, per culminare nel complotto ordito contro Gesù. I capi sacerdoti, i farisei, il sinedrio “deliberarono di farlo morire” (Giovanni 11,53). Poi questi “capi” improvvisamente scompaiono. Cessano le discussioni. Si aspetta l’ora giusta per catturare colui che è “odiato senza ragione” (Giovanni 15,25). Il male – odio, malevolenza, maldicenza, invidia, malignità, fornicazione, dissolutezza, idolatria, inimicizia –, il male non ha mai una ragione, è sempre irragionevole. Non c’era allora (e non c’è oggi) ragione di odiare Gesù. Si odia Gesù quando non lo si accoglie, cioè non se ne accoglie la parola, il consiglio sapiente, la morale radicale che egli chiede da parte di Dio. È un odio irragionevole, perché contrario a ciò che è bene per l’essere umano stesso. Nonostante l’odio di cui è oggetto, Gesù sceglie di ubbidire a Dio anche a costo di rimanere solo. 3. Gesù è stato lasciato solo dai suoi stessi apostoli. È a loro, purtroppo, che rivolge le parole “voi sarete dispersi, ciascuno dal canto suo, e mi lascerete solo...” (Giovanni 16,32). Non è la prima volta, e non sarà l’ultima, che i discepoli di Gesù lo abbandonano al suo destino. Anche in questa solitudine imposta, non c’è proprio alcuna “ragione”. La parola di Gesù è perfetta perché è quella che egli ha udito dal Padre suo (Giovanni 12,47 ss.). Eppure, spesso, a certi discepoli questa parola non sembra bastare, purtroppo. Ecco allora che alla parola di Gesù i sedicenti cristiani hanno bisogno di aggiungere parole di psicologi, strani teologi e persino parole di movimenti politici, per far dire a Gesù ciò che egli mai ha affermato. Possiamo addolcire la pillola come vogliamo, ma il peccato è e resta tale. La società può decidere che ciò che ieri era peccato non lo sia più. Può decidere addirittura che non c’è “peccato”, che non esiste alcun senso della parola “peccato”. Eppure il “fallimento” della persona umana si produce e rimane quando si chiama bene ciò che è male, amore ciò che è libidine, affetto ciò che è turpe, amicizia ciò che è traviamento. “Peccato” significa nel greco biblico proprio il “fallimento” della persona che non intende ciò che è per il suo bene. La psicologia alta dell’Evangelo, inarrivabile per comuni psicologi, dice che “ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato, produce la morte” (Giacomo 1,14). Dice Gesù: “... Mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me”. Beati coloro che hanno il coraggio di restare soli, ma con Gesù e con il Padre Suo, in mezzo a una società in cui il peccato diventa “estremamente peccante” (Romani 7,13). © RT - Riproduzione riservata – 06 2016

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