Sapienza
Sapienza
Sofferenze generate dalla testimonianza personale di fede e perplessità prodotte nel discepolo/discepola da chi abbandona la fede fiduciosa nel Signore per tornare nel mondo, possono originare domande quali:
• come posso sapere se la sapienza di Dio dimora realmente nel fratello, o nella sorella, che mi siede accanto, che “intinge il boccone con me nello stesso piatto”?
• Ci sono segni che mostrano la presenza di questa sapienza nell’esistenza pratica mia e altrui nell’ambito della chiesa del Signore?
Queste domande non sorprendano. Anche la persona di fede può subire disillusioni. E quindi può (e deve) porsi domande dinanzi ai comportamenti anticristiani di coloro che apparivano discepoli dalla fede solida, ma che hanno amato il presente secolo. Queste domande vengono poste quasi come annotazioni ad uno studio comune sulla epistola giudaico cristiana di Giacomo, scritto che ritiene la sapienza il concetto chiave per la vita pratica del credente. Queste domande dimostrano che qui è in gioco non solo il criterio biblico “facciamo attenzione gli uni agli altri”, ma parallelamente anche l’altro principio evangelico “bada a te stesso”.
Ovviamente, non esiste un metodo automatico per esser certi che la sapienza di Dio dimori effettivamente nel fratello o nella sorella che ci sono accanto. L’ambito della fede fiduciosa non ha nulla a che vedere con automatismi di sorta. Nelle relazioni con Dio e con gli uomini non ci sono automatismi – almeno finché gli esseri umani saranno tali e non… automi (bel problema attuale anche questo).
La cristiana e il cristiano sono guidati dallo Spirito di Dio, cioè da Cristo che è “in noi”:
Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito (Rom 8,5.10).
È la guida energica ricevuta al momento del “lavacro di rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo” (Tito 3,5: chiaro riferimento al battesimo/immersione). “Tutti” infatti abbiamo ricevuto il battesimo di un unico Spirito (1 Cor 12,13: “tutti”, non solo alcuni). Siamo quindi “ripieni di Spirito”, ovvero dell’abbondanza della “parola di Cristo” (Ef 5,18 e Col 3,16: si noti il parallelismo perfetto e l’analogo contesto nei due brani).
Ciò nonostante, la volontà malvagia dell’individuo – talvolta anche del credente – può prendere il sopravvento (Gc 1,14 s.), riuscendo a soffocare la meravigliosa parola/consiglio spirituale di Cristo. È vero che al momento della mia conversione ho ricevuto (e anzi costantemente ricevo) l’aiuto potente di Dio, ma è pur vero che sta in me seguire gli impulsi positivi della parola spirituale del Cristo, in modo docile, mansueto, umile (Gc 1,21 b).
1. Un primo impulso a fare il bene è proprio quello alla conversione (metànoia, cambiamento di mente). È l’impulso a farsi “generare” dalla “volontà” del Padre “mediante la parola di verità” (Gc 1,17 s.; “rigenerazione” in Tito 3,5). Tutti abbiamo bisogno di questa generazione. La persona che ascolta e accoglie il consiglio di Dio, applicandolo a sé stessa mostra proprio di seguire l’impulso di Dio. Ciò è fonte di gioia genuina e umile.
2. Un secondo impulso della sapienza sta nel consiglio: “Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all''ira…” (Gc 1,19: si noti il contesto immediato in cui l’ira personificata disattende la giustizia di Dio). L’ascolto dell’altro come sforzo generoso della prontezza dell’animo a comprendere, a immedesimarsi, persino a far proprie le difficoltà dell’altro. Il parlare ponderato, condito col sale della sapienza del consiglio di Dio. Un parlare partecipativo. Un ascoltare e un parlare del tutto fuori dai canoni di questa società frettolosa, e perciò superficiale e banale e impaziente.
3. Un terzo impulso muove il discepolo a liberarsi definitivamente di “ogni impurità e ogni resto di malizia, per accogliere con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime” (Gc 1,21). Occorre un “no” deciso alla malizia e un “sì” altrettanto fermo alla benignità nella vita quotidiana. Sapiente è chi accoglie con mansuetudine la parola di Cristo. Inutili domande celano spesso il vuoto spirituale. Manca talvolta la riflessione sapiente. Uno dei prodotti della stoltezza è la tendenza a separare etica cristiana e docilità alla parola di Dio.
4. Segue poi il nobile impulso ad agire: “Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi” (Gc 1,22: stupendo qui il gr. poietes = poeta, colui che agisce, crea, fa, mette in pratica, in contrasto con l’uditore illuso). Un agire che prevede:
• controllo delle proprie parole (Gc 1,26; v. anche tutto il cap.3);
• sensibilità pratica verso i poveri, gli ultimi (1,27);
• fede operosa, non pigra, che rifiuta il facile “non posso” (2,18);
• adesione pratica alla sapienza alta, che si traduce in comportamento buono e opere compiute in mansuetudine di sapienza (3,13.17-18);
• il rifiuto dell’amicizia del mondo (= concetti, princìpi, modi di pensare e agire che così facilmente informano purtroppo il comportamento dei cristiani: 4,4 + 2,8-11);
• porre in essere anzitutto l’umiltà – propria prima che altrui (Gc 4,10); mentre Giacomo, ispirato da Dio promette qui che sarà “Dio a innalzare gli umili”, tale promessa viene disattesa dallo stucchevole innalzamento reciproco di religiosi di tutti i tipi;
• il rifiuto deciso di parlare contro fratelli/sorelle (4,11 + 5,9; quante volte invece si presta ascolto più agli estranei che a persone che conosciamo in Cristo…);
• avere ben presente il proprio limite temporale (4,14); il discepolo/la discepola si danno da fare qui e adesso perché la parola del Signore sia annunciata; non programmano solo la propria vita, ma prima di tutto l’opera del Signore, confidando in lui, dipendendo da lui;
• non sfruttare gli altri nel lavoro (5,4); si noti qui il contesto durissimo di condanna senz’appello di chi ha “frodato il salario dei lavoratori”: si tratta di uno dei brani neotestamentari più trascurati, eppure di un’attualità sconcertante (5,1-7);
• nutrire continuamente la propria pazienza fiduciosa nel Signore (5,4);
• privilegiare la preghiera e il canto (5,13), non solo durante il culto comunitario, ma anche nella vita personale;
• ricercare l’aiuto morale/spirituale dei fratelli, ed esser pronti a offrirlo (5,14 – la verità è che non siamo né autonomi né indipendenti, ma umilmente bisognosi di “chiamare”);
• esser pronti a confessare i nostri errori (5,16), invece di intestardirci in essi;
• continuare a convertirsi (5,19-20: cambiamento di mentalità, crescita in Cristo non avvengono una tantum; sono processi costanti; chi li interrompe inizia a vivere prima da ascoltatore illuso, poi possono avvenire gli abbandoni dolorosi di cui si diceva).
Facendo queste cose, accoglierò in modo docile la sapienza di Dio, ne seguirò il consiglio buono. Sono questi alcuni segni dai quali si può riconoscere se nell’esistenza mia e di chi mi è accanto è presente o meno la sapienza di Dio che corrobora alla costruzione della tua/mia persona interiore. Ascoltando questa saggezza, ascolterò Cristo Gesù stesso, sapienza spirituale, che coi suoi impulsi educa alla vita vera mediante la sua parola magistrale:
(…) per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione (1 Cor 1,24 ss.).
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